di Anna Maria Liberati
Il giorno 8 aprile del 1911, a Roma, nelle aule restaurate delle Terme di Diocleziano, veniva inaugurata una mostra archeologica.
Tale iniziativa si collocava nel più ampio quadro delle celebrazioni del cinquantenario dell'Unità d'Italia e benchè designata in modo totalmente generico, essa nei fatti sarà ricordata come la "Mostra Archeologica" per eccellenza. Strani anni quelli in cui si svolsero gli avvenimenti che stiamo per descrivere, per un verso ancorati ancora alla belle époque ma allo stesso tempo proiettati verso un futuro che si annunciava gravido di promesse. In questo scenario, per il cinquantenario dell'Unità d'Italia, si svolsero molte iniziative, non solo a Roma ma anche a Torino ed a Firenze, ma fu soprattutto la città eterna a svolgere un ruolo da protagonista[1].
Nel programma ufficiale pubblicato nel 1909 così si legge: Questa città nostra, insieme che la capitale politica d'Italia, è la capitale prescelta, la meta degli studi e dei desideri per gli artisti di tutto il mondo. Infatti, l'accoglienza già fatta al nostro invito sta a confermare quanto in tutte lenazioni più moderne, alto e amato sia l'antico nome di Roma [2]. Se Torino infatti rappresentava nelle celebrazioni il progresso nell'industria e nel lavoro, ed a Firenze si era voluto riconoscere un vezzo di arte ed eleganza, era Roma che rivestiva il ruolo carismatico di città guida, faro ed esempio della cultura universale. Valorizzando l'antico si voleva allo stesso tempo dare alla città un volto nuovo e moderno[3].
Vennero in tal modo urbanizzate vaste aree verdi al di qua e al di là del Tevere, collegandole con la costruzione del ponte Flaminio, attuale Risorgimento, realizzato con la tecnica all'avanguardia del cemento armato, mentre molti monumenti vennero eretti e molti altri restaurati[4]. Fu la rappresentazione di Italie diverse e contrapposte "in vetrina" nella grande Mostra Regionale ed Etnografica, fu la "rievocazione" del folklore di Roma antica, rappresentato dalla ricostruzione di una nave romana (fig. 1), ma a parte ciò, in questa emozionante sfida tesa a stupire ed a mostrare anche tratti poco noti ma ritenuti fondanti, si assiste al concretizzarsi di alcuni elementi che entreranno a far parte del nostro vivere attuale: la collaborazione con studiosi di altre nazioni e la consapevolezza dell'archeologia come disciplina di dignità pari alle altre[5] (fig. 2).
Figura 1 – Roma 1911. Esposizione Internazionale. Locandina pubblicitaria della "nave romana" (da AA.VV. 1983, p. 14).
Figura 2 – Emissione filatelica della serie che commemora le celebrazioni del 1911. Nel soggetto viene evidenziato in particolare il legame tra le città di Roma e Torino
Il merito di aver dato alle celebrazioni per il cinquantenario anche un'impronta scientifica fu di Rodolfo Lanciani. Persona estremamente colta, ingegnere ed umanista, titolare della cattedra di Topografia romana alla Sapienza dal 1882, Lanciani fu un instancabile raccoglitore di ogni pur minima notizia relativa a Roma, in un momento cruciale per la città. Siamo infatti negli anni in cui essa subisce profonde e radicali trasformazioni, tutto deve essere annotato ed ogni rudere rilevato. Lanciani univa a questa sua passione e curiosità intellettuale doti personali altrettanto ammirevoli, era infatti uno scrittore e, soprattutto, un divulgatore d'eccezione e in decenni di attività, con l'aiuto di studiosi in Italia e all'estero raccolse un enorme patrimonio di dati e conoscenze che riversò nelle sue opere[6].(fig. 3).
Figura 3 – Rodolfo Lanciani (da Guida 1911, p. 22).
Sotto la sua direzione venne quindi presentata al grande pubblico la Mostra Archeologica. Abituato ad una rappresentazione della romanità intessuta di luoghi comuni e di artefatti, il pubblico non seppe come reagire. Scrive la stampa dell'epoca: ma il colmo delle difficoltà è nella Mostra archeologica, della quale prima di tutto occorre svolgere il significato affatto nuovo [...] [7] (fig. 4).
Figura 4 – Roma 1911. Esposizione Internazionale. Copertina del catalogo della Mostra Archeologica nelle Terme di Diocleziano (da CATALOGO 1911)
La Mostra Archeologica infatti, con spirito genuinamente scientifico, si proponeva di fornire una panoramica delle antiche province create da Roma chiedendo ad ognuno dei rispettivi stati moderni qualche testimonianza del loro passato romano ed un quadro, pur se sintetico, dei progressi raggiunti dall'Italia in campo archeologico. Sotto la guida di Lanciani e con la segreteria generale affidata al giovane Giulio Quirino Giglioli (fig. 5), operarono e collaborarono molti studiosi non solo italiani ma anche stranieri e la mostra costituì occasione e luogo privilegiato per il loro incontro e la reciproca conoscenza. L'esposizione inoltre si svolse in un contenitore d'eccezione costituito dalle Terme di Diocleziano, restaurate per l'occasione[8].
Figura 5 – Giulio Quirino Giglioli nel 1911 (da GUIDA 1911, p. 211)
Scrive la guida ufficiale delle Esposizioni di Roma: Chi ha visto questa parte delle Terme prima dei lavori ultimi del Comitato per le feste del 1911 può solo apprezzare degnamente l'opera immensa compiuta. Fino a qualche mese fa un vero villaggio era in queste sale: stalle e teatri, magazzini di carbone e di legname, uffici e abitazioni! Ora tutto è sparito e i saloni ampli e maestosi sono ritornati allo stato primitivo. In uno di essi si dovette scavare il suolo per più di 4 metri! In queste aule è raccolta la Mostra Archeologica [9]. Nel discorso inaugurale Lanciani ricorda le difficoltà incontrate nei tre anni occorsi per ripristinare il monumento e la lotta epica sostenuta per discacciare i profani dal tempio, le sottilissime arti adoperate per rendere vani i decreti del bando. [...]. Noi, che da quaranta e più anni abbiamo consacrata la vita al culto e alla investigazione di Roma, possiamo con sicurezza affermare che mai si è raggiunto fine più nobile e soddisfacente con mezzi così modesti. Le Terme, liberate dalle ignobili strutture che le nascondevano, sono divenute oggetto di maraviglia, non solo a noi, pochi specialisti, ma a tutta la massa del pubblico, che le considera una rivelazione del genio e della potenza costruttrice degli antichi [10](fig. 6).
Figura 6 – Roma 1911. Esposizione Internazionale. Mostra Archeologica. Antico ingresso michelangiolesco a S. Maria degli Angeli e aula d'ingresso alla mostra (da FALORNI 1911, p. 5)
La parte introduttiva al catalogo della mostra termina con una panoramica sulla storia e le vicende subite dalle terme nel corso dei secoli e con la soddisfazione di averle ripristinate finalmente nel loro antico splendore: Archi e volte sono qui arditi quanto in pochi altri monumenti dell'antichità, la costruzione perfetta, tanto che quello che i posteri non hanno demolito, ha resistito in modomirabile al tempo e si appresta a sfidare ancora impavido l'urto dei secoli in avvenire[11].
Scopo della mostra era quello di servire di aiuto e di termine di confronto agli studiosi della Antichità romana, come gli altri Musei servono a quelli dell'Istoria e dell'Arte. [...]. Altra cosa è leggere le imprese delle guerre Daciche nel freddo testo degli istorici di Traiano, altra è leggere in quella incomparabile iscrizione, a noi donata con infiniti altri cimelii dalla Nazione Sorella dei Rumeni, l'addio rivolto dall'optimus princeps ai suoi commilitoni [12].
Proprio la Romania ebbe un rilievo particolare nella Mostra Archeologica, grazie anche ai rapporti d'amicizia e di stima tra Roberto Paribeni, direttore del Museo Nazionale Romano, Lugli, Gatti, Calza, Giglioli, Gismondi e studiosi romeni tra cui il Tocilescu, che proprio in quegli anni scavava ad Adamclissi e soprattutto Vasile Pârvan, primo direttore della Scuola Romena di Roma. Le collezioni romene si disponevano su più sale, sia a causa dell'antica divisione in province romane in rapporto agli stati moderni dell'epoca, che in quanto vincolate dallo spazio a disposizione, ed erano quindi suddivise in Dacia superior e Dacia inferior et Moesia. Quest'ultima sezione ospitava un modello del Trophaeum Traiani e soprattutto la ricostruzione al vero di parte dell'alzato[13] (fig. 7).
Figura 7 – Roma 1911. Esposizione Internazionale. Mostra Archeologica. Planimetria (da CATALOGO 1911)
È interessante scoprire la mostra attraverso le parole dell'archeologa inglese Eugenia Strong che, in un corposo articolo, ne descrive dettagliatamente le varie sezioni, auspicando che una simile esposizione possa indurre le competenti autorità inglesi ad instituire a central Romano-British museum per testimoniare il passato romano dell'Inghilterra, similmente alla sezione gallo-romana del Museo di Saint-Germain in Francia o al more recent Römisch-Germanisches Museum di Mainz, in Germania. La stessa studiosa "racconta" le varie sezioni espositive, dalle prime tre dedicate all'eternità di Roma, all'impero e ad Augusto, alle successive relative alle diverse province. Calchi di statue, rilievi e iscrizioni, modelli di edifici pubblici e privati, disegni e fotografie inviati con entusiasmo dai vari stati, o fatti eseguire dallo stesso comitato organizzatore, offrivano un chiaro ed efficace quadro della civiltà romana[14].
Ma la vera novità della mostra fu quella della ricomposizione, attraverso l'uso dei calchi, di quei monumenti e gruppi scultorei che vicende di varia natura avevano separato dal proprio contesto originario. Fu questa un'intuizione veramente felice dal punto di vista scientifico che consentì, ad esempio, la ricomposizione dell'ara di Domizio Enobarbo, con i rilievi a soggetto mitico provenienti dalla Gliptoteca di Monaco e quelli con scena di lustratio dal Museo del Louvre, o il gruppo scultoreo delle Niobidi, o ancora la ricostruzione di parte del basamento del colonnato interno della cella del tempio del divo Adriano in piazza di Pietra a Roma, all'epoca ritenuto dedicato a Nettuno[15]. I frammenti del basamento, rinvenuti in parte nel XVI secolo ed in parte nel 1878, erano sparsi fra musei e collezioni private a Roma, nel cortile del palazzo dei Conservatori, al Vaticano, ai palazzi Farnese e Odescalchi e a villa Doria Pamphili, ed a Napoli presso il Museo Nazionale. Per la ricostruzione vennero eseguiti i calchi delle personificazioni della Bitinia e dell'Armenia del Museo Nazionale di Napoli, della Mesia e di una provincia non identificata di proprietà Odescalchi (fig. 8). Fu proprio Lanciani ad ipotizzare per primo ed a sostenere, nonostante contrarie opinioni, che tali raffigurazioni di personificazioni di province e città facessero parte del basamento del tempio[16].
Figura 8 – Roma 1911. Esposizione Internazionale. Mostra Archeologica. I calchi delle personificazioni di province di proprietà Odescalchi (da PARIBENI 1911a, p. 2)
Completavano ed arricchivano la mostra l'esposizione di opere disposte lungo le ali del chiostro ed anch'esse diffusamente descritte nel saggio della Strong: mosaici e testimonianze archeologiche dal territorio laurentino, su concessione di S.M. la regina Elena, riproduzioni di oreficerie antiche, tra cui il tesoro di Petroasa, ma soprattutto una rassegna di monumenti cretesi ed un'altra di arte greca. Scopo di Lanciani era infatti anche quello di mostrare i meritevoli risultati ottenuti dalla scuola archeologica italiana che andava allineandosi a quella francese e tedesca, evidenziandone gli scavi a Creta, iniziati da Federico Halbherr e proseguiti da altri studiosi tra cui Paribeni[17]. Pochi consensi si ebbero sull'esposizione dell'arte greca di cui risultava meno evidente la funzione, nell'economia di una mostra dedicata alle province imperiali e sicuramente isolata nel caso la si volesse intendere come illustrazione di un precedente storico all'arte romana, ma così commentava la Strong: It is good news, however, that these Greek casts are destined, when the exhibition closes, to supplement Professor Loewy's admirable Museo dei Gessi [18].
Due eccezionali opere completavano la Mostra Archeologica, la pianta a rilievo di Roma antica in scala 1:400, opera dell'arch. Paul Bigot dell'Accademia di Francia e la ricostruzione al vero del pronao e di parte della cella del tempio di Roma e Augusto ad Ancyra, collocata nei giardini delle Terme[19]. L'opera, di enorme importanza, poichè reca incise sulla sua superficie le Res gestae dell'imperatore, venne eseguita in base alle misurazioni ed ai disegni rilevati direttamente da Azeglio Berretti e Giuseppe Annarumi della missione italiana. Fra le copie dell'iscrizione giunte sino all'età moderna, quella di Ancyra è l'unica a conservare il testo sia in lingua latina che greca. Studiata a partire dal XVI secolo, non ebbe mai il dovuto rilievo anche a causa del pessimo stato di conservazione. Fu quindi merito di Berretti essere riuscito, vincendo anche l'ostilità locale, a documentare al meglio non solo il manufatto, ma anche l'iscrizione[20] (fig. 9).
Figura 9 – Roma 1911. Esposizione Internazionale. Mostra Archeologica. Ricostruzione al vero del pronao e di parte della cella del tempio di Ancyra (da GIGLIOLI 1911b, p. 30)
Al termine del suo lungo saggio sulla mostra la Strong esalta il ruolo di Roma come paradigma di universalità, che trova nell'esposizione di Lanciani una precisa missione educatrice per i giovani e commenta: At the same time, Rome, however defaced and depleted, must needs remain the starting point of any survey of the Roman empire, and also the point of return [21]. Si tratta di un eco ideale al pensiero di Giglioli: Del lavoro lungo e faticoso di ordinamento fu anima e guida Rodolfo Lanciani, e non sia troppo ardire il mio l'affermare che la nostra opera è stata di amore e di entusiasmo. L'Esposizione presenta ormai la più grande riunione di monumenti di questo genere che si sia finora tentata e costituirà, a suo tempo, il nucleo principale di quel Museo dell'Impero romano in Roma, che è desiderato da ogni studioso. [...]. ; L'omaggio di tutte le antiche province all'Urbe madre è stato veramente grandioso e affettuoso e deve essere causa di sincero compiacimento per ogni italiano [22].
Terminata la mostra, le opere vennero acquisite dallo stato italiano, operando la distinzione fra greche e romane, con l'augurio che tali testimonianze raccolte con tanto entusiasmo non andassero perse, bensì costituissero il nucleo principale di un erigendo Museo dell'Impero romano [23]. Purtroppo, la realizzazione del progetto di Lanciani si rese impossibile per il sopraggiungere della guerra di Libia prima e della guerra mondiale poi. L'idea di un tale museo non andava però persa e, grazie alla costanza ed al fervore di Giglioli, portò alla creazione nel 1927 e poi definitivamente nel 1929 del Museo dell'Impero Romano, le cui collezioni vennero in seguito amplificate in quella straordinaria operazione culturale, sapientemente sorretta da un apparato mediatico adeguato ai tempi, costituita dalla Mostra Augustea della Romanità del 1937-1938 (fig. 10). In tutti questi casi le collezioni romene erano regolarmente esposte ed anzi, la copia dell'iscrizione traianea menzionata dal Lanciani nel 1911, veniva collocata in una posizione di particolare pregio proprio in occasione della Mostra Augustea[24].
Figura 10 – Mostra Augustea della Romanità. Depliant illustrativo in lingua romena, frontespizio.
Il perdurare di un proficuo rapporto tra le Istituzioni e gli studiosi dei due paesi, l'Italia e la Romania, si manifestava non solo nella riproposizione delle collezioni del 1911 ma, ancora una volta in occasione della preparazione della Mostra Augustea, con il nuovo contributo dato dall'architetto Nicolae Lupu alla realizzazione del plastico della villa di Sette Bassi sulla via Latina[25] (fig. 11).
Figura 11 – Mostra Augustea della Romanità. Plastico ricostruttivo in scala 1:200 della villa di Sette Bassi
Da tutto fin qui descritto ebbe origine il Museo della Civiltà Romana.
Per concludere, piace ricordare come in anni più recenti (1997-1999) e proprio in coincidenza con la ripresa dell'attività scientifica dell'Accademia di Romania in Roma , tale rapporto abbia assunto le forme della cura, da parte di borsisti romeni presenti a Roma in quel periodo, dell'aggiornamento bibliografico e, ove necessario, della rettifica proprio delle schede di quelle opere presenti sino dal 1911 nelle collezioni romene, prima della Mostra Archeologica ed ora del Museo della Civiltà Romana.
Note