di Enrico Silverio
Sig. direttore dell’Accademia di Romania in Roma, sig. presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, sig. rettore dell’Università di Cluj-Napoca, illustri relatori, signore, signori, nel 2011 è ricorso il 100° anniversario della Mostra Archeologica tenutasi alle Terme di Diocleziano in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia. Come sapete, la Mostra volle essere un’esposizione dei risultati raggiunti da Roma nelle province dell’impero e per illustrare tali risultati vennero chiamati a partecipare alla sua realizzazione i più insigni studiosi degli stati un tempo province imperiali[1].
Proprio nel 1911, pur nella difficoltà di allestire per la Mostra Archeologica sezioni pertinenti la Dacia ma divise tra i contributi offerti dal Regno di Romania e dal Regno di Ungheria[2], ebbe modo di maturare e rinsaldarsi un rapporto di non comune amicizia proprio tra Italia e Romania, tanto che lo stesso Rodolfo Lanciani, direttore della Mostra, nel discorso inaugurale tenuto davanti al Re d’Italia ricordò in modo particolare il ruolo avuto proprio dalla Romania, pronunciando una felice espressione, Nazione Sorella dei Rumeni, che è stata anche recentemente ricordata e letta in questa stessa sede[3]: Altra cosa è leggere le imprese delle guerre Daciche nel freddo testo degli istorici di Traiano, altra è leggere in quella incomparabile iscrizione, a noi donata con infiniti altri cimelii dalla Nazione Sorella dei Rumeni, l’addio rivolto dall’optimus princeps ai suoi commilitoni [4].
Come ben sapete grazie al fiorire di recenti studi proprio su questa materia[5], nell’ambito del fertile clima culturale creatosi intorno all’Esposizione del 1911 si rafforzò l’idea di una Scuola Romena a Roma, in seguito destinata a trasformarsi nell’attuale Accademia di Romania in Roma, ma le vicende della I guerra mondiale rallentarono la realizzazione di tali progetti.
Tuttavia, già nel 1921, in fortunata coincidenza con il cinquantenario di Roma capitale, l’Unione Storia ed Arte, associazione fondata in Roma il 21 aprile 1908 da Romolo Artioli[6], per suggellare i rapporti tra i due Paesi si rese protagonista di un viaggio in Romania di sapore quasi diplomatico, durato più di un mese e culminato con il dono alla città di Cluj di una lupa capitolina in bronzo[7].
Durante il viaggio, l’Unione Storia ed Arte fu fiera di portare in terra romena il proprio labaro sociale inaugurato l’anno prima, nel 1920, e che oggi possiamo osservare in questa stessa sala quasi nella sua versione originale, essendosi dovuto sostituire il vessillo vero e proprio, malamente sopravvissuto non tanto al trascorrere dei tempi, ma al grande impiego che ne venne fatto (fig. 1) [8].
Figura 1 - Il labaro sociale della Unione Storia ed Arte montato nella biblioteca dell’Accademia di Romania in Roma durante i lavori dell’Incontro di studi (foto autore)
Del memorabile viaggio, del quale nel 2011 è ricorso il 90° anniversario, vennero realizzati un volume e cartoline commemorative, mentre grazie alla fotografia sono state consegnate al ricordo dei posteri le fasi più importanti di quell’evento. Alcuni di questi oggetti sono stati cortesemente resi disponibili per questo incontro e ci accompagnano durante i nostri lavori (fig. 2)[9].
Figura 2 - Il volume Italia - Romania esposto durante i lavori dell’Incontro di studi. Accanto, il n. 6 (2011) della III serie del Bollettino della Unione Storia ed Arte (foto autore)
Né, come verrà illustrato, il rapporto tra l’Unione Storia ed Arte e la Romania si risolse in maniera estemporanea con il viaggio del 1921, ma anzi lo stesso fu occasione e cemento di futuri rapporti. Piace ad esempio esibire questo attestato di stima reso all’Unione dalla delegazione del Consiglio Nazionale delle donne romene, datato maggio-giugno 1923. A tale occasione è, dunque, probabilmente pertinente una fotografia tratta da un album dell’Unione, datata maggio 1923, nella cui didascalia leggiamo: Congressisti romeni al Monumento a Garibaldi [10].
Tuttavia, al fondo di questi rapporti tra enti ed istituzioni, ci sono sempre degli uomini. E piace allora ricordare una figura menzionata qui anche recentemente[11]. Si tratta di Mariano Borgatti, responsabile dell’area di Castel Sant’Angelo nell’Esposizione del 1911, allorché in quella sede, nei pressi di uno dei bastioni della fortezza, venne ricostruita anche a cura dell’arch. Giulio Magni una Casa Rumena [12]. All’epoca Borgatti ricopriva il grado di colonnello, ora lo vediamo invece in uniforme da tenente generale del Regio esercito italiano in una foto dedicata ad Artioli[13], che proprio anche a Castel Sant’Angelo ricoprì incarichi pubblici[14].
Oggi, dopo la cessazione delle attività sociali dell’Unione Storia ed Arte, la documentazione di cui si è detto è conservata presso l’Istituto Nazionale di Studi Romani[15].
L’attuale Istituto Nazionale di Studi Romani, già Istituto di Studi Romani, rappresenta un momento di grande importanza, quasi un catalizzatore, per la storia delle relazioni culturali tra Italia e Romania negli anni ’20 e ’30 del Novecento, che vennero nuovamente rinsaldandosi in coincidenza dei primi momenti di vita dell’Istituto stesso e della Scuola Romena di Roma e proprio grazie a queste istituzioni[16].
E tanto per ribadire che molti dei fatti sui quali ci intratteniamo oggi sono sì fatti di istituzioni, ma che le istituzioni sono fatte da uomini, piace mostrare questa foto datata 21 aprile 1931, che illustra la consegna ad Artioli della medaglia d’oro per i benemeriti dell’Educazione Nazionale e la consegna di quella d’argento a Giulio Quirino Giglioli[17]. Quest’ultimo fu, per quanto qui ci interessa direttamente, segretario generale della Mostra Archeologica del 1911 e successivamente, all’interno dell’allora Governatorato di Roma, direttore del Museo dell’Impero Romano ed in seguito anche direttore generale della Mostra Augustea della Romanità, mentre dopo la guerra fu a vita direttore onorario del Museo della Civiltà Romana[18].
Entrambi, Artioli e Giglioli, parteciparono, con ruoli ed in tempi diversi, anche alle iniziative dell’Istituto di Studi Romani[19], in cui contemporaneamente fu grande il contributo degli studiosi romeni e degli stessi direttori di questa Accademia[20].
Emil Panaitescu, ad esempio, tenne lezioni in ben quattro anni accademici dei Corsi Superiori di Studi Romani dell’Istituto, tra il 1933 ed il 1937. Lo stesso Nicolae Iorga tenne una lezione in quegli stessi Corsi nell’a.a. 1934-1935. Piace, ancora, citare la partecipazione di Nicolae Herescu a ben tre iniziative dell’Istituto tra il 1935 ed il 1942. Da ultimo, una menzione particolare va a Claudio Isopescu, volontario con il Regio esercito italiano nel 1918, fondatore in Roma della cattedra di lingua e letteratura romena e professore ordinario alla Sapienza dal 1936, anche lui nel novero dei contributori, come docente, alle iniziative dell’Istituto[21].
Il secondo dopoguerra non fu, per la nostra materia, felice quanto gli anni successivi al 1918. Tuttavia, se da un lato i rapporti culturali con l’Amministrazione Capitolina e l’Istituto di Studi Romani dovettero interrompersi per non pochi decenni, a partire dagli anni ’90 del Novecento la vita scientifica dell’Accademia di Romania in Roma è invece ripresa e prosegue, senza interruzione alcuna, all’insegna di una tradizione ormai consolidata, maturata a partire dal 1911, cementata negli anni ’20 e ’30 e che sembra oggi qui doveroso ricordare e fare conoscere.
Ciò, peraltro, è possibile ancora una volta grazie agli uomini che fanno parte degli enti ed istituzioni che già un tempo proficuamente collaborarono.
Concludendo, piace ricordare che il merito della rinnovata collaborazione spetta all’Accademia di Romania in Roma, che ospita questo incontro, al suo direttore prof. Mihai Bărbulescu ed al personale tutto[22]; alla disponibilità dell’Istituto Nazionale di Studi Romani nella persona del suo presidente prof. Paolo Sommella e di tutti i suoi collaboratori, che in ogni modo e con raro entusiasmo hanno contribuito alle necessarie ricerche d’archivio[23]. Il merito spetta anche all’energia ed all’esperienza del direttore del Bollettino della Unione Storia ed Arte, dott.ssa Giuseppina Pisani Sartorio ed alla disponibilità degli archeologi della Sovraintendenza Capitolina oggi presenti.
Note