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Aspetti del collezionismo numismatico italiano nel ‘900

di Giovanni Gorini

Ancora più di trent’anni fa si lamentava la mancanza di una storia del collezionismo numismatico italiano che è ancora da scrivere [1], ma che difficilmente si potrà fare da parte di una sola persona data la vastità e la specificità dei numerosi centri culturali del nostro paese e del diffuso localismo, che ha imposto studi e ricerche limitate ad una città (Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo), regione (la Sicilia, la Magna Grecia, il Veneto) o singole famiglie (i Medici, i Barberini, i Borgia, gli Este, i Gonzaga, i Farnese [2], etc.) etc., ben difficilmente riconducibili ad una unità storicamente ricostruibile. Ora per i periodi antecedenti al 1800 disponiamo di singoli interventi in articoli, in miscellanee ed in opere di più vasto impegno [3], che hanno permesso di studiare nelle sue grandi linee alcuni aspetti del collezionismo numismatico in Italia ma, venendo al periodo a cavallo dei due secoli XIX e XX, i contributi si fanno più esigui e mancano del tutto per quest’ultimo secolo [4]. Compito d’altra parte veramente arduo, in quanto riesce difficile sintetizzare le caratteristiche del collezionismo nel secolo da poco trascorso in quanto si tratta di un periodo, complesso sotto il punto di vista politico, economico e culturale e non ancora completamente sedimentato nella coscienza comune. Infatti l’Italia è passata da una economia agricola e proto industriale ad un’industrializzazione con sviluppo del terziario che ha coinvolto ampi strati della popolazione con forti mutamenti sociali a seguito dei due conflitti mondiali. Si unisca a ciò, dal secondo dopoguerra, la maggiore scolarizzazione e la facilità all’accesso ai mass media, per cui in questo mutato clima anche il collezionismo in generale, e quello numismatico in particolare, si è venuto modificando nella sua tipologia ed assumendo nuovi aspetti e nuove tendenze. Infatti per tutto il secolo XX è persistita una vivacità di collezioni numismatiche di carattere generale e tematiche, sempre tuttavia attente alla temperie politica e sociale del momento, sia alle caratteristiche culturali ed economiche dei diversi esponenti di detto collezionismo. Il tutto va poi rapportato ai diversi periodi storici in cui si possono suddividere questi cent’anni. Infine il quadro che ne risulta appare quanto mai variegato e composito e ciò è dovuto sia alla particolare composizione della società italiana del Novecento sia alla distribuzione geografica dei collezionisti, in generale tra un Meridione particolarmente attento alle emissioni della Magna Grecia e della Sicilia ed un Centro Nord più attento alle epoche medievali e moderne ed infine con un onnipresente favore per la monetazione romana.
Inoltre questo diffuso interesse per la raccolta di monete si poggia anche sulla loro disponibilità, varia, affascinante e facilmente disponibile sul mercato, soprattutto per esemplari di conservazione media o mediocre, per un collezionismo povero, mentre non mancano raccolte ricche di esemplari di ottima conservazione per collezionisti più esigenti o di rarità per collezionisti culturalmente più preparati e/o con maggiori disponibilità economiche.
Infatti già nella seconda metà del XIX secolo si era venuta affermando, anche in Italia, una tendenza che poi si svilupperà sempre più nel secolo successivo, per la quale il collezionismo di oggetti artistici ed in particolare di monete e medaglie non è più un fatto legato o connesso unicamente con le esigenze del potere sia religioso che laico o politico, ma diviene sempre più elemento che connota lo stato sociale della nuova borghesia imprenditoriale che si viene affiancando alla nobiltà, prevalentemente agraria, che dominava nella società dell’Italia preunitaria [5]. Così si spiega l’interesse e il gusto, da parte di un ceto più ampio e meno colto, per la raccolta di monete legate ad avvenimenti recenti o ancora attuali, come l’avventura di Napoleone, la serie della Repubblica di Venezia o del Regno dei Borboni, da poco terminati, l’incipiente Regno d’Italia, la serie delle monete medievali delle diverse zecche italiane o le monete papali, sempre d’attualità, data la continuità della serie dei pontefici. A questo collezionismo in parte nuovo si affiancano, soprattutto al Sud, raccolte di monete greche di origine locale, mentre sempre stabile rimane l’interesse per la serie romana repubblicana ed imperiale, esaltata quest’ultima, nella prima metà del ‘900, dal Fascismo che della romanità si era fatto un vanto ed un modello da emulare. Entro tale filone si inserisce in pieno la collezione di Vittorio Emanuele III, che si dedica alle emissioni delle zecche d’Italia e che nasce già nel 1879, quando il sovrano aveva 10 anni, per divenire uno degli interessi principali della sua vita [6]. Il tipo di collezionismo italiano dedicato alle piccole e grandi zecche locali, facile da realizzare, per l’abbondanza del materiale disponibile ed il generale disinteresse dei più, e poco costoso, per gli stessi motivi, diviene una nota distintiva dell’emergente classe borghese, in rapporto anche all’accrescersi del loro potenziale economico e sociale. Si vengono così formando alla fine dell’800 e nei decenni successivi numerose collezioni private di cittadini abbienti, ma non necessariamente nobili o appartenenti a famose casate nobiliari, che raccolgono materiale interessante, talvolta acriticamente, ma che poi, generalmente alla morte del collezionista, confluiscono nelle raccolte pubbliche. Tale consapevolezza, unita ad un intenso lavoro dei preposti alla tutela, finiranno con il mutare l’atteggiamento del grosso pubblico verso i collezionisti numismatici e renderli consapevoli che questi personaggi sono centrali non solo nel mondo della numismatica, ma anche della cultura in genere. Si pensi alla collezione Papadopoli a Venezia, alla Bottacin a Padova, alla Palagi a Bologna, etc. Tale atto di donazione assume con il tempo anche una forte testimonianza di una identità civica che caratterizza la società italiana della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento, dove, soprattutto al Nord, persiste e si consolida lo schema museografico napoleonico, cioè un museo "imperiale" a Parigi, il Louvre, uno "reale" a Milano, Brera, e tanti musei civici nelle diverse città del Regno d’Italia. Entro tale schema si inseriscono anche la genesi e la formazione delle collezioni pubbliche di monete e medaglie tra fine del XIX e inizi del XX secolo in diversi musei italiani e con ciò giungiamo fino ad oggi. Tale aspetto conferma in un certo qual modo il fatto che spesso dal collezionismo privato si passi a quello pubblico con donazioni o acquisizioni, che poi favoriscono la crescita di studi e di interessi scientifici [7]. Durante il periodo tra le due guerre mondiali e soprattutto nel secondo dopoguerra, il fenomeno del collezionismo interessa anche la classe dei professionisti: medici, ingegneri, notai, avvocati, dirigenti d’azienda che rappresentano il ceto dirigente della società, ma accanto a questi si hanno anche collezioni realizzate da commercianti, sacerdoti, impiegati di banca, insegnanti; ciò comporta una sorta di democratizzazione del fenomeno, come riflesso di una società più egualitaria e simile nei suoi comportamenti. Questo stato di cose sfocia dagli anni settanta in poi anche nella diffusione del collezionismo numismatico come hobby, con collezioni di modesto o nullo valore scientifico, quali ad esempio, quello dei mini-assegni degli anni ’70, quello delle monete della Repubblica Italiana o quello dell’Euro del XXI secolo.
Negli ultimi anni si è anche diffuso il collezionismo bancario, che già aveva avuto interessi per le monete antiche, se nel 1928 la Banca Italiana di Sconto vende i propri pezzi. Potremmo ricordare alcune collezioni attuali di questi istituti, come la Banca Popolare di Vicenza a Palazzo Leoni Montanari (collezione di oselle) [8]; la Fondazione della Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone [9]; la Banca Collezione Mormino a Palermo (monete greche della Sicilia); la Banca Agricola Mantovana (collezione Gonzaga); la Cassa di Risparmio di Genova (monete genovesi). Questo nuovo tipo di mecenatismo ha portato questi nuovi protagonisti del collezionismo storico-artistico ad affiancarsi agli enti tradizionalmente deputati alla conservazione ed allo studio del nostro patrimonio nazionale. Anche in questo caso vale l’appartenenza al luogo che, come per le persone, determina la scelta della tipologia collezionistica, che quindi ha, ancora una volta, una forte valenza localistica.

La genesi del collezionismo novecentesco

Perciò volendo indagare, sia pure sommariamente, la consistenza e le caratteristiche del collezionismo numismatico italiano del '900, uno degli aspetti da considerare riguarda innanzitutto la genesi delle diverse collezioni e la loro formazione. Una raccolta nasce sempre dalla possibilità del mercato a fornire materiale di pregio o meno valido e dall’altro dalla disponibilità di capitale per acquisire detto materiale, ma anche da un sostanziale desiderio di possedere delle testimonianze concrete del passato di una città o di una regione o di un’epoca. Questo ritorno alle radici è una delle caratteristiche della società italiana dopo gli anni ’70 quando si sviluppò il fenomeno del regionalismo e delle più radicate autonomie locali, che hanno convogliato una serie di risorse proprio alla riscoperta del proprio territorio e della propria storia trascorsa.
La necessità di formare ed alimentare la crescita delle collezioni, cui si collega il mercato d’aste o il minuto commercio e talvolta quello clandestino, documenta il progressivo accrescersi delle raccolte e del loro differenziarsi nei temi e nei soggetti e fa anche riflettere sulla importanza e l’attualità del collezionismo numismatico, quale componente sempre più presente nello sviluppo della società italiana contemporanea, nel solco di una tradizione millenaria.
Esso infatti appartiene al grande gruppo del collezionismo antiquario in genere, che ha una lunga storia iniziando nell’antichità classica e attraverso il Medio Evo, dove è presente già con il Petrarca [10] e l’Umanesimo, giunge al Rinascimento e da qui fino alla nostra epoca [11]. Non ne faremo cenno data la vastità del fenomeno, per altro ben illustrato in un’ampia bibliografia a cui si rimanda, limitandoci a considerare, come questa sia sempre di ambito regionale o inerente ad una singola famiglia o dinastia [12]. Infatti i nostri archivi e le nostre biblioteche sono ricche di diverse testimonianze in lettere e appunti manoscritti di inventari di collezioni, che documentano come si raccolgano a cura di pontefici, principi ed uomini illustri, monete antiche e contemporanee, talvolta privilegiando i grossi sesterzi o medaglioni romani, compresi quelli romano provinciali che giungevano in Italia tramite il commercio veneziano, ma non mancano, soprattutto al Sud raccolte di originali greci in argento e buona parte di questo materiale attende ancora di essere trascritto e studiato anche se molto si sta facendo soprattutto per le epoche antecedenti l’800. Da tutta questa documentazione archivistica si apprende che il collezionismo si rivolge non solo alle monete greche e romane, ma anche a quelle del Medio Evo e più moderne, fino alle contemporanee, come possiamo dedurlo dalla lettura e dalla trascrizione di inventari manoscritti conservati negli archivi, che ci illuminano su alcuni aspetti del collezionismo ad esempio a Roma [13], per cui possiamo ben dire che questo particolare tipo di collezionismo permea tutta la società civile italiana, in particolare interessando tutti i centri maggiori e minori della nostra penisola, dal Rinascimento fino ad oggi [14]. A questo contribuirono non poco anche le “storie metalliche” che dalla seconda metà del 1500 si diffondono in tutta Europa, ad esempio in Francia con Luigi XIV [15], e interessano, ovviamente anche altre case regnanti, i papi e le famiglie come, ad esempio, i Barbarigo di Padova [16].
Un tale diffuso collezionismo conferma una altrettanto ampia conoscenza delle monete che significa anche fruizione del bene che acquista nel secoli una valenza storica ed artistica. Con il passare del tempo, negli ultimi due secoli, ha poi acquisito anche un valore economico con lo svolgimento in Italia e all’estero di numerose aste e compravendite di questo materiale artistico e storico [17]. Ma tali due aspetti, la conoscenza e la fruizione, si possono solo portare avanti con una catalogazione accurata e scientifica che, collocando l’oggetto, in questo caso le monete, nel loro ambiente storico e cronologico, contribuisca a meglio conoscere la temperie culturale ed economica del momento in cui le monete sono state coniate non solo come prodotto, ma anche come conseguenza di una committenza quasi sempre sottesa a valori non solo artistici, ma soprattutto economici e politici [18].
Questo aspetto nel caso della serie medievale italiana è fondamentalmente dettato dal volere delle singole autorità emittenti o meglio dei loro consiglieri, con la scelta della raffigurazione del ritratto o della legenda, per farne strumento economico o di affermazione del proprio potere dinastico. Il caso della collezione di Vittorio Emanuele III sottende tutti questi aspetti (fig. 1).

Figura 1

Figura 1

Inoltre, essendo una collezione reale, anche le tavole fotografiche divengono motivo di raccolta e di conservazione, come nel caso della collezione di Angelo Scalabrini a Como [19] o come le vicende del suo salvataggio negli anni cruciali del ‘43 e ‘44 che oggi si può avvalere della nuova documentazione autentica emergente dalla pubblicazione dei diari di Carlo Anti, il famoso archeologo rettore fascista dell’Università di Padova, dove una cartella “Beni ex Reali” fornisce nuova documentazione sullo smembramento della collezione, prima ad opera dei tedeschi e poi del Commissario straordinario della R.S.I. avv. Giuseppe Steiner [20].
Poi con il passare del tempo la moneta perde il valore di specchio fedele della personalità del committente e diventa anche prodotto di collezione e di commercio. Così entro questa complessa varietà di esemplari disponibili sul mercato, per ritrovamenti o per sopravvivenza, si pone poi il vasto settore della fruizione dell’originale antico di secoli o anche relativamente vecchio di solo decenni per il proprio piacere. Tale sviluppo testimonia quanto sia vasta la gamma dell’aspetto ludico della raccolta delle monete in genere e di quelle antiche in particolare. Infatti da strumento di conoscenza della evoluzione dell’arte coeva [21], a cui, sia pure con un certo comprensibile conservatorismo, si prestano molti esemplari dell’800, si aggiunge con il ‘900 anche l’aspetto commerciale e di investimento, quale "bene rifugio" e quindi oggetto di raccolta per ricavarne nel tempo un guadagno economico.
Infine il processo della conoscenza e della fruizione delle collezioni e delle monete antiche e moderne si inserisce nel più vasto ambito della catalogazione, avviato già da alcuni decenni nella nostra penisola ed ora giunto a maturazione. Infatti per quanto riguarda la corretta schedatura di questi prodotti [22] possediamo oggi uno strumento nuovo ed affidabile, la scheda "NU" a cura dell’Ufficio del Catalogo del Ministero dei Beni Culturali [23].

Le collezioni

Tuttavia in attesa di un esame più approfondito e più sistematico, limitiamoci ad alcune considerazioni circa la consistenza delle collezioni note che necessariamente vanno suddivise nelle diverse tipologie, presentando ogni serie, problemi differenti ed autonomi.
Infatti l'Ottocento aveva visto il costituirsi delle grandi collezioni pubbliche, a Torino la Collezione Sabauda, a Milano quella di Brera e la Civica, a Roma i Capitolini, a Napoli il Museo Nazionale, a Palermo il Museo Archeologico, ed anche la formazione di numerose collezioni private, come quelle segnalate nella guida dello Gnecchi [24] di cui alcune sono poi confluite in istituzioni pubbliche. Ricorderò come esempi la collezione Santangelo al Museo di Napoli [25], Nicolò Bottacin, base del Museo Bottacin a Padova [26], la collezione Papadopoli al Museo Correr di Venezia [27], la collezione Pelagio Palagi passata al Museo di Bologna [28], la Verri a Milano [29] e molte altre donazioni che nel XIX secolo caratterizzano la formazione delle pubbliche collezioni numismatiche dei musei italiani, come la Molin di monete greche a Venezia, completata dalla collezione Papadopoli di monete veneziane, etc. Tuttavia per limitarmi ad un solo esempio e alle sole collezioni di monete greche, soprattutto nel Triveneto, ricordo la collezione Schettini al Museo di Bassano [30], quella Orsi a Rovereto [31], quella De Brandis ad Udine [32], quella di Vito Capialbi al Museo di Vibo Valentia e di Reggio Calabria [33], la Pennisi al Museo di Siracusa [34], la Mormino al Museo di Palermo, ma se ne potrebbero citare numerose altre, solo osservando la storia del formarsi delle collezioni pubbliche italiane o scorrendo i cataloghi delle maggiori case d’asta che alla fine del secolo XIX incrementano la loro attività: ricordo, sempre come esempio, la collezione di monete greche e romane di Fontana di Trieste venduta da A. Hess a Francoforte nel 1888.
Venendo invece al Novecento il quadro si amplia e si diversifica; per i numeri delle monete e per le personalità dei raccoglitori possiamo avvalerci della guida del Cagiati del 1925 [35] data la vastità e la diversità degli oggetti raccolti. Inoltre va notato come la costituzione di diverse collezioni soprattutto di materiale greco e romano, ma soprattutto la loro vendita, va di pari passo o quasi con l’evoluzione delle leggi di tutela del materiale storico-artistico e soprattutto archeologico. Infatti se la legge di tutela del 1909 non trova ancora una sua applicazione per quanto riguarda il patrimonio numismatico, quella del 1939, la famosa 1089, fa sentire i suoi effetti negli anni dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto dalla fine degli anni Sessanta. Anzi sarei tentato di proporre come data limite l’anno 1968 che segna uno spartiacque in diversi aspetti della società italiana, soprattutto nei riguardi del mondo culturale e certamente segna la quasi scomparsa di cataloghi di monete greche o romane con l’indicazione del nome del possessore italiano. Segnalo ad esempio l’asta Monete enee dei Bruzi e di alcune zecche lucane. Monete romane. Serie artistica medievale, moderne italiane. Medaglie (Semenzato - Venezia, 29-30 novembre 1980), in cui certamente i primi numeri fino al 203 fanno riferimento ad una raccolta di monete omogenee di sicura provenienza dal territorio lucano.
Tenendo presente questi avvenimenti potremmo tracciare la seguente suddivisione, in cui mi limiterò a fare riferimento alle raccolte che mi sono note, senza la pretesa di una esaustività, molto difficile da raggiungere, se non a costo di una ricerca capillare, distinguendo le raccolte prima cronologicamente, successivamente per interesse: Fino alla prima guerra mondiale; Il periodo tra le due guerre mondiali e fino al 1968; Dagli anni ’70 alla fine del XX secolo.

Fino alla prima Guerra mondiale

Si tratta di un collezionismo ancora di tipo ottocentesco, cioè globale, attento ad una raccolta di esemplari di diverse serie, facilitato dalla relativa disponibilità sul mercato di materiale a buon prezzo e dall’assenza di leggi di tutela per le monete provenienti da scavi. Infatti la prima legge è del 1909 e, come esempio sintomatico, potrei citare per il mondo antico la collezione del Marchese Carlo Strozzi (1821 – 1886) [36], che fu editore della rivista Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d’Italia pubblicato tra il 1868 e il 1874 e possedette molte esemplari delle serie fuse dell’aes grave provenienti dai ritrovamenti di Quingento [37], Fabbri, Tarquinia, Volterra, Bieda, Chiusi, Vicarello e Vulci, come gli aurei del ritrovamento di Cuma del 1868 ed editi nel Periodico da Gennaro Riccio. La sua collezione fu poi venduta nel 1907 dalla Galleria Sangiorgi di Roma ed una parte giunse al medagliere di Firenze. Sempre Sangiorgi aveva venduto nel 1894 la collezione di monete romane imperiali di Pierre Stettiner [38] e nel 1882 era stata venduta la collezione di Carlo Morbio di monete italiane [39]. Segue la collezione Luigi Dell’Erba, monete antiche e del medioevo venduta da A. Sambon & Canessa a Napoli nel 1900 [40], quella di Priamo Levi di Bologna, da Ratto a Genova nel 1902 (fig. 2), quella Maddalena di monete greche e romane venduta da A. Sambon a Parigi nel 1903 [41], quella di Martinetti (1833 - 1895) [42] & Nervegna di monete greche e romane venduta a Parigi sempre dal Sambon nel 1907 [43] e in parte giunta al Medagliere fiorentino, e quella delle monete italiane venduta ancora da Arthur Sambon nello stesso anno, ma a Napoli [44]; le Monnaies antiques, Gran Grèce et Sicilie (collezione De Ciccio), venduta da Sambon e Canessa a Napoli nel 1907. Nello stesso anno è venduta la collezione di monete greche di Tom Virzì da Hirsch a Monaco [45], mentre nel 1908, a Roma, P. & P. Santamaria vendono la collezione Carlo Stiavelli [46] e nel 1909 a Genova Ratto vende la collezione di Mario San-Romé (fig. 3); nel 1911 viene anche venduta la collezione appartenuta al grande studioso di monetazione romana repubblicana Celestino Cavedoni da parte di Ratto [47] e nel 1914 a Milano la collezione Cornaggia di bronzi romani [48] (fig. 4).

Figura 2

Figura 2

Figura 3

Figura 3

Figura 4

Figura 4

Per il medio Evo e l’età moderna, oltre alla collezione di Vittorio Emanuele III o quella di Ercole Gnecchi, Italienische Münzen, in 3 parti, venduta da Leo Hamburger a Francoforte, tra il 1902 e il 1903, segnalo le collezioni delle Aste Ratto come quella di Giorgio Ciani (1910), quella di Gavazzi di monete italiane (1911) e di Carlo Romussi, monete di Milano (1915), più quelle anonime proposte da Ratto a Milano tra 1914 e il 1925. Le collezioni di Gaetano Avignone e di Giuseppe Ruggero, sempre di monete genovesi, vendute da R. Ratto a Genova rispettivamente nel 1895 e nel 1915. La collezione di Bartolomeo Borghesi di monete italiane venduta da Raffaele Dura a Roma nel 1880, insieme a quella del barese Giuseppe Tafuri, venduta nello stesso anno.

Periodo tra le due guerre mondiali e fino al 1968

Permangono sempre in posizione di importanza e di preminenza le collezioni di monete antiche [49], ma nel ventennio 1922-42 si ha la prevalenza del collezionismo di monete romane a seguito della dilagante esaltazione della romanità da parte del regime fascista: ad esempio Signorelli (Roma Repubblica e Impero); Piancastelli a Forlì (monete romane) (fig. 5) di cui si ricordano i cataloghi della Cesano [50] (figg. 6 e 7) e della Ercolani Cocchi[51]; Giuseppe Mazzini, morto nel 1961 (Roma imperiale) [52]; Luigi Sachero (contorniati) [53].

Figura 5

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Figura 6

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Figura 7

Figura 7

Non mancano tuttavia le raccolte di materiale greco come la collezione Valerio Traverso venduta a Milano da Baranowsky nel 1931, quella del Marchese Roberto Venturi-Ginori e P. Gariazzo vendute dai Santamaria nel 1938 [54] e quella del marchese Enrico Gagliardi (1896-1953) di Siracusa [55]. A questo proposito converrà ricordare l’amicizia nata proprio a Siracusa tra i coniugi Gagliardi con il grande archeologo padovano Carlo Anti, di cui si ha ora una traccia per il 1945-1946 nella recente edizione dei Diari [56] di quest’ultimo: il 25 gennaio 1946 Anti è a colazione dal marchese e questi gli mostra i calchi dei suoi ultimi acquisti numismatici, tra cui alcune superbe monete arcaiche di Nasso [57]; inoltre siamo informati che Enrico Gagliardi sogna di acquistare una moneta greca che va all’asta a Basilea per oltre un milione di lire e l’Anti così commenta “Beato chi può pagare questi amori[58]. La collezione è posseduta ora dal Museo Archeologico di Siracusa.
Seguono raccolte di carattere generale come la collezione di monete dell’Italia meridionale e della Sicilia venduta da Canessa a Napoli nel 1921, quella del Conte Ferruccio Brandis, monete greche, da Canessa a Napoli nel 1922 [59]. Nel 1928 viene anche venduta la collezione della Banca Italiana di Sconto da parte dei Santamaria; ancora, la collezione di Armando Gnagnatti (fig. 8), monete italiane e papali, venduta da Santamaria nel 1930, la raccolta Lancellotti, monete e medaglie papali, venduta da Santamaria nel 1934, quella di Giovanni Butta nel 1939, per finire con la Gili del 1942.

Figura 8

Figura 8

Segnaliamo per le monete medievali italiane la collezione di Edoardo Martinori (morto nel 1935) venduta dai Santamaria nel 1913, quella di Carlo Ruchat, Monete di Zecche italiane, in 4 parti (fig. 9) venduta dai Santamaria tra il 1921 e il 1923 e il cui catalogo è venduto oggi dalla ditta Igubium di Gubbio per 750 euro a conferma dell’importanza di questi cataloghi.

Figura 9

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Proseguiamo con quella di E. Vaccari sul medesimo soggetto venduta tra il 1924 e il 1925 sempre dai Santamaria o la Larizza (Santamaria 1927) e la Gusberti del 1932 (Santamaria), quella di un anonimo, ma Trivulzio, comprendente 3 parti venduta a Milano da Baranowsky nel 1931-32; sempre a Milano da Baranowsky nel 1932 la collezione Valerio Traversi di monete genovesi. Tuttavia perdurano le collezioni generali tra le quali un posto speciale è occupato dalla collezione Ex nummis historia del conte Alessandro Magnaguti (1887 – 1966), venduta dai Santamaria in 12 parti, iniziando dal vol. 1, (1949), dedicato alle monete greche, vol. 2, Roma Repubblica (1949), voll. 3 - 4, Roma Impero (1950-51); vol. 5, Bisanzio, Medio Evo e Venezia (1953), vol. 6, Signorie italiane (1954); voll. 7-8, Monete dei Gonzaga (1957, 1961); vol. 9, Medaglie dei Gonzaga (1965) [60], vol. 10, Casa Savoia (1955); vol. 11, Monete e medaglie papali (1956); vol. 12, Monete e medaglie delle grandi famiglie sovrane d’Europa (1959). Questa collezione, di cui le parti 7, 8 e 9 sono confluite ora nelle collezioni della Banca Agricola Mantovana, può ben considerarsi paradigmatica di un certo modo di costruire una raccolta "universale" che riflette ancora le concezioni ottocentesche e forse anche settecentesche. Tra le numerose collezioni generaliste ricordo anche la famosa vendita da parte dei Santamaria della collezione di Angelo Signorelli, parte 1 monete greche (1952) (fig. 10), parte 2, monete romane, parte 3, monete bizantine, parte 4, monete e medaglie papali, Oriente latino, Cavalieri di Rodi e Malta (1954), parte 5, monete di zecche italiane (1955), parte 6, oselle di Venezia, e la collezione di Nazarri, monete italiane contemporanee venduta nel 1959.

Figura 10

Figura 10

La collezione Giorgi (1955) e la Bizzarri di monete e medaglie papali e monete di Casa Savoia (M. Ratto Milano, 1966) (fig. 11).

Figura 11

Figura 11

A differenza del periodo precedente si tratta di nomi di raccoglitori che non hanno dato alcun contributo alla scienza avendo scritto poco ed in maniera episodica, segno di come l’interesse per le monete sia stato soprattutto estetizzante e volto al possesso del fior di conio con un bel ritratto o con uno stile rimarchevole, riflesso della temperie culturale del momento, senza una ricaduta culturale o anche un qualche rapporto con la cultura numismatica del momento, che per altro esprimeva i volumi di Giulio Emanuele Rizzo (1866-1950) sulle monete della Sicilia [61] e persisteva nell’apprezzamento delle monete sotto il profilo estetico [62].

Dagli anni ‘70 alla fine del secolo

Con la fine del secondo conflitto mondiale si era assistito in Italia ad una ripresa dell’economia che era sfociata nel boom degli anni ’60 ed anche in questi decenni si assiste ad un riflesso della ripresa economica nel collezionismo anche se fortemente limitata dalla applicazione della legge di tutela, che favorisce l’espatrio di moltissimo materiale da scavo e fa omettere i nomi dai cataloghi e se da un lato ripercorre le linee del passato, dall’altro si muove piuttosto verso il puro investimento per sfuggire all’inflazione a due cifre degli anni ’70 e alle forti tassazioni imposte dalle riforme fiscali. Infatti la raccolta delle monete è generalmente un fenomeno della maturità e della vecchiaia di molti raccoglitori ed inoltre le collezioni si formano negli anni se non nei decenni per cui sono soggette a poche variazioni. In questi trent’anni assistiamo anche ad una caratterizzazione delle tipologie di materiale da raccogliere, per cui se si annoverano ancora alcune collezioni specializzate particolarmente significative per il materiale raccolto e per la specificità della tipologia della monete, dall’altra viene a scomparire la raccolta particolarmente significativa specchio anche della personalità del raccoglitore, come era stato in passato.
Altro fenomeno che merita una riflessione è la chiusura di illustri case d’asta in Svizzera, come la Münzen und Medaillen A.G. dei fratelli Cahn a Basilea, la ditta F. Sternberg e Bank Leu a Zurigo [63] e parallelamente anche in Italia, con la cessazione a Roma della Ditta P. & P. Santamaria (fig. 12) e il ridimensionamento di ditte illustri come Ratto a Milano e De Falco a Napoli.

Figura 12

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Comunque per questo periodo possiamo ancora ricordare per il settore greco: le collezioni della Magna Grecia, soprattutto Taranto, del triestino Lodovico Brunetti e dello svizzero – milanese Athos Moretti [64] per la Magna Grecia e Sicilia; gli ingegneri Carlo Fontana [65] e Winsemann Falghera [66] per le romano provinciali, come quella di De Sanctis Mangelli ora al Museo Nazionale di Roma [67]; per le monete greche Rago e l’ing. Rosa [68] a Milano; per le monete celtiche dell’Italia settentrionale A. Pautasso, ora al Museo Archeologico di Aosta [69]. Nel settore romano: Bernareggi (sesterzi romani); Oscar Ulrich Bansa (monete tardo antiche: zecca di Mediolanum); Picozzi (romane tardo antiche); Tremonti (Udine: zecca di Aquileia). Nel settore bizantino: T. Bertelè, Ricotti Prina, P. Ravazzano [70], S. Pugliatti di Messina [71] e Cuttitta di Siracusa [72]. Nel settore arabo-bizantino: Leuthold, e arabo: Balog, studioso ungherese naturalizzato italiano dopo aver diretto per anni l’ospedale italiano del Cairo. Nel settore medievale e moderno italiano si hanno per lo più raccolte con attenzione alla produzione di una singola zecca: Bernocchi [73]: Firenze; Lorenzelli [74]: Bergamo; Franceschetti: Padova; Bernardi [75]: Aquileia e Trieste; Crippa [76]: Milano; Muntoni [77]: papali, De Angeli Frua e Superti Furga: monete dei Gonzaga; don Fernando A. Roberti: le Giustine veneziane, donate poi al Medagliere Vaticano dopo la sua morte (settembre 1977); Ernesto Bernareggi: le Rinascimentali italiane; Giovanni Bovi: monete napoletane [78]: la collezione Colucci a Bari (Italia meridionale); la collezione Spahr [79]; Enrico Catemario, Federico Pane, Carlo Prota e Eugenio Scacchi sempre di monete dell’Italia Meridionale. Per le monete moderne italiane ci limitiamo a citare la collezione Oddo ora alla Banca d’Italia e la famosa asta M. Ratto, Aldo Curatolo (1971 - 1972) in 4 parti, cui sono da aggiungere quelle della ditta Varesi di Pavia.
Un cenno a parte meritano poi le collezioni di medaglie italiane come la collezione di Cesare Johnson, di medaglie in genere [80]; Piero Voltolina per la serie veneziana [81]; il Conte Arese, medaglie milanesi; Bertaggia, medaglie veneziane del XIX-XX secolo ora al Museo Bottacin di Padova; l’ing. Turricchia, medaglie dell’ottocento italiano.

Collezionismo e ricerca scientifica

La storia di questo rapporto è un altro capitolo interessante della storia del collezionismo in quanto fino alla fine degli anni ’50 del Novecento il legame tra collezionismo e ricerca scientifica era indissolubile sia in Italia sia all’estero. Possiamo solo ricordare personalità come Imhoof Blumer per le monete greche, Ravel per le monete di Corinto o Vlasto per quelle di Taranto, N. Papadopoli per le monete veneziane, i medici Colbert de Beaulieu per le monete celtiche e Pierre Bastien per le monete romane. Quasi sempre un collezionista diveniva poi con il tempo uno studioso della serie collezionata o di quel periodo storico: possiamo ricordare il caso dei fratelli Gnecchi all’inizio del secolo o quello del Pautasso per le monete celtiche padane, del Sachero per i contorniati, di Muntoni per la serie papale, di Crippa per quella di Milano, di Bernardi per le monete di Aquileia e Trieste. Il fenomeno tuttavia è molto circoscritto anche se annovera personalità del calibro di Oscar Ulrich Bansa che diverrà professore all’Università di Padova e riceverà nel 1959 la Medaglia della Royal Numismatic Society e quella della Società Numismatica Americana a riconoscimento del suo innegabile valore come studioso e ricercatore e, in Italia, l’ultimo esponente di questo passaggio dal collezionismo all’Università è stato Ernesto Bernareggi che ha insegnato dal 1965 prima a Padova e poi alla Statale di Milano fino alla sua morte nel 1984.
Con la seconda metà del ‘900 assistiamo invece alla separazione tra collezionismo e ricerca scientifica, in quanto per la prima volta in maniera chiara si afferma la carriera scientifica di studiosi di numismatica antica greca e romana e più tardi di numismatica medievale che non possiedono collezioni, ma provengono dal mondo delle Università, dove si sono formati e dove insegnano a loro volta. Questo gruppo di studiosi si affianca a quello dei Conservatori numismatici dei diversi musei, prevalentemente civici e degli Ispettori numismatici delle Soprintendenze, ruolo purtroppo in via di estinzione. Tutti costoro proseguono la loro attività di ricerca e di conservazione con la produzione di lavori scientifici sulle monete delle loro collezioni o ricevute per studio da archeologi, storici e soprintendenti o frutto di scavi e ritrovamenti ufficiali e fortuiti. Ciò è dovuto alle mutate condizioni culturali degli ultimi trent’anni che vedono in Italia l’affermarsi di una nuova visione dello studio dell’antichità, fondamentale in questo senso la lezione di R. Bianchi Bandinelli.

Secondo questa metodologia la moneta viene storicizzata ed inserita nel contesto della produzione antica acquisendo una valenza storico-politica ed economica, quale fonte primaria nella ricostruzione delle diverse fasi della vita antica. In questa nuova dimensione la moneta non viene più vista con un criterio crocianamente estetico, quanto mai soggettivo, mentre si afferma il suo rapporto con il territorio e lo strato archeologico che lo ha prodotto o il contesto monetale o archeologico nel quale è stata deposta ed è stata rinvenuta [82]. Con l’affermarsi di questa nuova metodologia diminuisce la necessità di disporre di una collezione privata e personale per i propri studi e il dato diventa irrilevante, preferendo la raccolta di calchi o di fotografie di monete dai diversi musei e collezioni pubbliche e private anche con l’affermarsi dei cataloghi illustrati delle numerose aste e successivamente con la diffusione dello strumento informatico, Internet in particolare, che ha favorito enormemente la circolazione delle immagini delle monete ai fini degli studi sulla produzione di una singola zecca, come ricostruzione delle sequenze dei conii, studio delle tipologie, etc. Tale rivoluzione copernicana ha determinato uno spostamento della ricerca nelle Università e nei Musei a scapito dei singoli studiosi che sempre più raramente si cimentano in opere di vasto respiro. A tale cambiamento nella ricerca scientifica ha anche contribuito l’introduzione dell’euro e la caduta delle frontiere doganali con la fine, o almeno il forte ridimensionamento, del mercato numismatico svizzero, non più favorito dalla presenza di alcune case d’asta famose e dirette da studiosi di chiara fama, alcuni dei quali chiamati anche a ricoprire insegnamenti all’Università, come è il caso di Herbert Cahn [83], ma affidate ora a persone più inclini al mercato che allo studio, per cui converrà anche rivolgere la nostra attenzione al rapporto tra collezionismo e mercato, quale componente non secondaria del moderno collezionismo e, nel contempo, studio delle monete antiche.

Collezionismo e mercato

Il commercio numismatico, come è noto, è sorto contemporaneamente alle prime collezioni nel XIV secolo; tuttavia solo nell’Ottocento e certamente nel ‘900 ha visto ampliarsi il fenomeno delle aste pubbliche che sono divenute numerose e ricche di materiale che passa ora periodicamente da una collezione all’altra, alimentando un collezionismo diffuso e poco conosciuto, ma nel complesso molto lontano da quello della prima metà del secolo XX [84] e non sempre particolarmente attento alla qualità delle monete o al loro significato storico, ma limitandosi solo al loro valore venale ed eventualmente artistico. Tra i commercianti alcuni si sono distinti per il loro impegno anche come studiosi, soprattutto all’estero, come Herbert Cahn o Leo Mildenberg, e la serie si chiude emblematicamente con la figura di Silvia Hurter, autrice di numerosi lavori sulla monetazione greca e morta il 20 gennaio 2009 [85], ma anche alcuni italiani, ricordo in particolare Giulio Bernardi di Trieste, si sono distinti per un’attività di studio e di ricerca. Il panorama è ricco tra le due guerre e subito dopo la seconda guerra mondiale ancora con l’attività in Italia di famose case d’asta che hanno prodotto cataloghi che sono rimasti nella bibliografia come Ratto a Lugano, con l’asta di monete bizantine, a Milano, con l’asta Curatolo, per le monete del regno d’Italia e i Santamaria a Roma, con le aste Magnaguti e Signorelli. Dopo gli anni Settanta il mercato sembra dissolversi anche se assistiamo al diffondersi di aste in numerose città italiane; segnaliamo le aste Varesi a Pavia e quelle Grigoli a Genova, ma potremmo ricordare altre minori a San Marino, come Artemide e Titano, a Mestre, come Ars e Nummus. Le caratteristiche di questo mercato sono rivolte soprattutto alle serie medievali e moderne e la serie del Regno d’Italia fa la parte del leone, forse anche per le limitazioni della legge di tutela che non favoriscono il commercio di monete antiche in Italia e per una sempre minore conoscenza del mondo classico ed in particolare di latino e greco. Tuttavia rimane da chiedersi se questo materiale raccolto, di cui solo raramente sappiamo il nome del possessore, forse per sfuggire alla tassazione, possa considerarsi collezione nel senso di un nucleo omogeneo relativo ad un periodo storico o alla produzione di una determinata zecca o non invece solo materiale raccolto in maniera eterogenea e con poco valore scientifico in quanto non si conosce la provenienza e il contesto di ritrovamento, per cui di nessun significato ai fini di quella ricostruzione storica che è il fine ultimo di ogni serio lavoro numismatico inteso a ricostruire l’attività di una zecca ed i suoi contesti cronologici.
Il rapporto con il commercio imporrebbe anche di fare un breve accenno ai falsari da quelli, diciamo famosi, come il Becker (1772 -1832) [86], il Caprara (circa 1820) [87], l’udinese Cigoi [88] o il Christodoulos (morto nel 1955) [89], a quelli anonimi, ad esempio, del trevigiano che fabbricano zecchini da distribuire in Libano e Siria; a quelli nel Sud che producono copie galvanoplastiche di originali greci, falsificando in alcuni casi anche interi ripostigli etc. ma il discorso si farebbe lungo; mi preme solo specificare che senza un mercato forte e danaroso, ancorché ignorante, i falsari non prolificherebbero, segno che ancor’oggi molte persone attratte dal desiderio di possedere una moneta antica o di acquistare un ricordo di un viaggio, cadono nel tranello e non riescono a distinguere un esemplare autentico da uno falso.
In fine passiamo a considerare i rapporti tra il collezionismo numismatico e la società civile.

Collezionismo e società

Nel secolo XX vi è stato un profondo cambiamento nei componenti della società italiana che ha espresso i collezionisti; infatti si è passati dalla nobiltà e dall’alta borghesia, tipici della società ottocentesca, al ceto dei professionisti o degli appassionati che anche disponendo di risorse limitate hanno costruito con il tempo delle collezioni degne di nota. Ricordo, ad esempio, quella Rosa di monete di bronzo greche, poi donata al Museo di Milano; quella di Lorenzo Lazzarini di monete greche, in parte donata al Museo Archeologico dell’Università di Padova; quella di Pietro Ravazzano di monete del Medio Oriente di monete greche e bizantine donata al Museo Bottacin di Padova; quella di T. Bertelè di monete bizantine; quella Bruno Brun donata alla Galleria delle Marche a Urbino [90]; la collezione di monete romane provinciali di E. Winsemann Falghera; quella di monete greche e milanesi di Athos Moretti, già Verri. Ma accanto a queste potremmo stendere un lungo elenco di collezioni minori, poco note, talvolta solo citate nelle pubblicazioni o nei cataloghi d’asta con il nome del proprietario e nulla più. Considerando poi il collezionismo di monete medievali e moderne assistiamo oggi ad una progressiva regionalizzazione con l’affermarsi di collezioni relative alla produzione della zecca della propria città o della propria regione come si è visto, ma senza raggiungere l’importanza e il valore di quello delle collezioni del passato anche recente. Talvolta siamo di fronte a lodevoli eccezioni, ma il destino del grande collezionismo numismatico, almeno in Italia, sembra destinato a declinare. Infatti sempre meno appaiono all’orizzonte personalità capaci di rinverdire una tradizione di studio e di interesse che ha nella nostra penisola una storia quasi millenaria. La società nel nuovo secolo è molto cambiata e l’interesse per le monete se è aumentato sul piano storico scientifico con gli studi nelle università e nei musei, sembra essere quasi scomparso dalle giornate del singolo che attraverso il possesso di una moneta prosegue in una ricerca personale. Gli unici casi che mi sono noti, per il mondo greco, sono quello di L. Lazzarini che con una bella collezione di monete greche produce anche articoli di notevole spessore scientifico attingendo proprio al proprio patrimonio monetale, quello di G. Ruotolo che ha prodotto recentemente uno studio monografico sulla zecca di Rubi [91] e di A. Campana che studia le monete dell’Italia Antica. Tuttavia altri collezionisti/studiosi si potrebbero citare per il mondo medievale e moderno: per questo è sufficiente sfogliare le pagine dei periodici per collezionisti che producono una ricca bibliografia di segnalazioni e di studi talvolta degni di nota. Tuttavia la tendenza negli ultimi decenni sembra quella di una sempre maggiore divaricazione tra il collezionismo e la scienza numismatica che ha preso decisamente la strada della ricerca scientifica e che usa il materiale delle collezioni solo come oggetto di studio e di approfondimento, segno di una mutazione dei costumi sociali, in cui la numismatica rientra ormai nella sfera degli hobby e non più in quella della ricerca e dello studio. L’augurio che in futuro queste due componenti possano ritrovarsi e proseguire in un dialogo che è stato fruttuoso nei secoli passati e che potrebbe divenirlo ancora, soprattutto se avverrà una contrazione degli studiosi museali ed universitari a seguito della crisi attuale e del taglio di posti in aree ritenute non produttive.

Note

[1] Panvini Rosati 1976, p. 345.
[2] Fornari Scianchi – Spinosa 1995.
[3] Per il periodo fino al 1900, particolarmente utile sono le pagine di Babelon 1901, coll. 326-350; Giard 1986, pp. 167 -174. Per l’Italia v. anche Gorini 2007, pp. 15–17.
[4] Infatti non possiamo considerare una storia del collezionismo i singoli contributi inseriti nei necrologi dei diversi collezionisti apparsi sulla pubblicistica specifica o le introduzioni di alcuni cataloghi d’asta. Una prima informazione si ha in Gnecchi 1894 (3° ed.) e un primo tentativo di una catalogazione in Grierson - Blackburn 1986, pp. 399-414 e Grierson – Travaini 1998, pp. 579-587; Grierson – Mays 1992, pp. 339-344; un bilancio in chiave più ampia in Walker 2008, pp. 597-615; cfr. anche Spring 2009 (d’ora in poi Spring) con le integrazioni di Brousseau 2010, pp. 553-608. Un recente catalogo d’asta contiene un dettagliato indice di collezionisti italiani e stranieri (Münzen und Medaillen GMBH, Auktionen Meister & Sonntag, Auktion 33, 17 November 2010, Weil am Rhein).
[5] Cenni in Sorda 1991-1994, pp. 225–310; Gorini 1988, pp. XIX- XXIX; per il collezionismo di medaglie v. V. Johnson 1971, pp. 10-17 (= S. Johnson 1979, pp. 9-13).
[6] Travaini 2005; Eadem 2010, pp. 39-52.
[7] Gorini 1986, pp. 99-107.
[8] Rancan 2007.
[9] Callegher 2008, pp. 65-74.
[10] Gorini 1972.
[11] Per una prima informazione, per altro molto parziale e lacunosa, vedi Perassi 1998.
[12] Come paradigma per altre regioni italiane, mi limito alle collezioni di antichità in genere nel Veneto fino al XVIII: si veda Pomian 1983, pp. 493-547; Favaretto 1990; Jestaz 2000, pp. 161-167, in particolare p. 166 e Gorini 1997, pp. 132-135; per il periodo successivo manchiamo di ricerche puntuali.
[13] Missere Fontana 2009.
[14] Possiamo citare, per la storia del collezionismo numismatico a Trieste, Basilio 1934, pp. 159-229, in particolare pp. 179-183; a Firenze v. Panvini Rosati 1970, pp. 4-13; per l’Emilia: Ercolani Cocchi 2002, pp. 397-414; Eadem 1991, pp. 445-455; per la Liguria: v. Pera 2005, pp. 265-307; per quello a Torino: v. Pennestrì 1995a, pp. 203-216; cfr. anche Cantilena 1995, pp. 139-151; etc.
[15] Pennestrì 1995b, pp. 15-21; V. Johnson 1976, pp. 6-13; cfr. anche Gorini 2005, pp. 259-267.
[16] Valcavio 1732.
[17] Sarebbe ozioso in questa sede produrre il lungo elenco delle aste di monete antiche e medievali avvenute negli ultimi due secoli, per cui si rimanda infra alle pagine seguenti di questo intervento.
[18] Gorini 2002; Ceccarelli 1996, pp. 400-404.
[19] Chiaravalle – Nobile De Agostini 2010, pp.137-144.
[20] Zampieri 2009, pp. 1227 e ss.
[21] Manca ancora una storia artistica delle monete del ‘900 italiane anche se si potrebbe osservare che esse presentano un leggero attardamento rispetto alle conquiste dell’arte del Novecento, ma si ricordi l’intervento in questo stesso convegno di M. Caccamo Caltabiano sulle monete di Vittorio Emanuele III e l’opera del Boccioni riprodotta sui 20 centesimi dell’Euro.
[22] Per un’informazione di carattere generale vedi: Vasco Rocca 2002; per le medaglie, Miselli 2000, pp. 217-235.
[23] AA. VV. 2004; Callegher - Gorini, 2004a pp. 15-27; Callegher - Gorini 2004b, pp. 69-73.
[24] Gnecchi 1894.
[25] Fiorelli 1866-1867; Giove 2001.
[26] Gorini 1972, p. 30.
[27] Saccocci 1988, pp.168-172.
[28] Panvini Rosati 1976, pp. 345-349 ed i materiali inediti al Paul Getty Center di Los Angeles.
[29] S. Crippa 1998.
[30] Grandesso 1983, pp. 259-273.
[31] Gorini 1985.
[32] Garraffo 1998.
[33] Gargano 2009, pp. 83-109.
[34] Tranchina 1990, p. 326.
[35] Cagiati 1925.
[36] Sambon 1907.
[37] Un frammento di aes signatum si trova al Museo Correr, v. C. Crisafulli in corso di stampa in Miscellanea in onore di L. Capuis, Padova 2011.
[38] Spring, n. 629.
[39] F. J. Wesener, Asta del 16 ottobre 1882 (Monaco). Cfr. Spring, n. 886
[40] Spring, n. 614.
[41] Spring, n. 618
[42] Francesco Martinetti, morendo lasciò nella sua casa un tesoro di monete che venne ritrovato nel 1933 con il nome di Il rinvenimento di Via Alessandrina: Molinari – Spagnoli 1990, pp.135-164 e Molinari 1990.
[43] Parte del materiale di Taranto proviene da quella città avendo Giuseppe Nervegna dimorato per diversi anni a Brindisi, dove si era trasferito in gioventù da Trieste (cfr. introduzione al catalogo d’asta e Spring 2009, p. 244).
[44] Monete greche e romane, Asta Arthur Sambon e Canessa, 1907.
[45] Spring, n. 376 e p. 138. Nel 1973 il Bank Leu venderà a Zurigo la parte relativa alle monete in bronzo della stessa collezione (Spring, n. 416 e Spring, n. 429 per un’altra parte della collezione).
[46] Spring, n. 637.
[47] Spring, n. 535.
[48] Spring, n. 538.
[49] Per una prima informazione si vedano gli Indici degli Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica in AIIN 1988 parte 1° e 2° parte, pp. 44-45.
[50] Cesano 1957.
[51] Ercolani Cocchi 1972; Eadem 1974.
[52] Monete Romane Imperiali, Asta Ratto, 5 voll. Milano 1957-1958.
[53] Sachero 1987.
[54] Spring, n. 646.
[55] Dezzi Bardeschi 2010.
[56] Zampieri 2009.
[57] Ibidem, p. 372.
[58] Ibidem, p. 860.
[59] Spring, n. 95.
[60] Monete e medaglie dei Gonzaga dal XII al XIX secolo, Banca Agricola Mantovana, Mantova, 7 voll., 1996-2000, Addenda, Mantova 2001.
[61] Rizzo 1938; Idem 1939; Idem 1946.
[62] Sulle vicende della stampa del volume in Zampieri 2009, si forniscono altri particolari interessanti al gennaio 1947 (p. 558).
[63] Da note di stampa si apprende che nel primo semestre del 2011 ha cessato di esistere la Casa d’aste Bank Leu che ultimamente era diretta da Silvia Hurter, recentemente scomparsa.
[64] Vismara 1996.
[65] Ferri 1996, pp. 349-350; Fontana 1965, pp. 89-98; Idem 1966, pp.32-43; Idem 1967, pp. 39-62; Idem 1975, pp.137-147; Idem 1986, pp. 221-228.
[66] Martini 1992; Vismara 1993.
[67] Ne è in programma la pubblicazione a cura del dott. Dario Calomino nella serie del Bollettino di Numismatica.
[68] Confluita nel Medagliere Civico di Milano: Arslan 1976.
[69] AA. VV. 1988.
[70] Gorini 2001, pp. 379-381.
[71] Tranchina 1990, p. 326; Consolo Langher 1964.
[72] Tranchina 1990, p. 325.
[73] Bernocchi 1974-1978.
[74] Lorenzelli 1996, pp. 63-917.
[75] Bernardi 1975.
[76] C. Crippa 1986.
[77] Muntoni 1972-1974.
[78] Mastroianni - Pannuti 1988.
[79] Bank Leu, Münzen und Medaillen, Monete della Sicilia e dell’Italia Meridionale. Collezione Spahr R., Zurigo 1987.
[80] C. Johnson 1990.
[81] Voltolina 1998.
[82] Breglia 1964; Bianchi Bandinelli 1975.
[83] Mani Hurter – Peter 2002, pp. 4-6.
[84] Si può segnalare qualche eccezione come la collezione Brun finita in parte alla Galleria delle Marche di Urbino o la collezione di Serraghiotto a Vicenza (cfr. Gorini 1987, p. 209)
[85] Fischer Bossert 2008, pp. 52-54; Frey – Kupper – Peter - Von Roten 2008. Si potrebbe anche aggiungere Alfio Russo anche se in una posizione decisamente inferiore.
[86] Hill 1924-1925.
[87] Kinns 1984.
[88] Brunetti 1966.
[89] Svoronos 1922.
[90] Luni 2000.
[91] Ruotolo 2010.