di Silvana Balbi de Caro
Le giornate di studio
Le giornate di studio, organizzate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in occasione del primo centenario dalla pubblicazione del Corpus Nummorum Italicorum, sono nate dall’esigenza di tentare un bilancio dello sviluppo della ricerca in un settore di grande interesse storico, giuridico, istituzionale come quello della monetazione italiana di età medioevale e moderna, che presenta ancora molte zone d’ombra[1].
Due i temi fondamentali sui quali si è incentrata l’attenzione dei maggiori specialisti della materia convenuti a Roma: il contributo, da un lato, del Corpus Nummorum Italicorum allo sviluppo degli studi di storia monetaria italiana e, dall’altro, l’influenza che la passione per le monete del re d’Italia ha esercitato sui collezionisti della prima metà del ‘900, orientandone, almeno fino all’avvento del fascismo, il gusto e gli interessi.
Il Ministero, inoltre, ha presentato i risultati di un’attività istituzionale che, coinvolgendo varie professionalità, primi fra tutti i tecnici informatici dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, prevede la pubblicazione dei materiali appartenenti alla Collezione Reale nella banca dati Ivno Moneta del Bollettino di Numismatica, dove nella sezione Biblioteca è già possibile consultare integralmente i venti volumi del Corpus Nummorum Italicorum [2].
Il Corpus Nummorum Italicorum
È a tutti noto come il Corpus Nummorum Italicorum sia strettamente legato alla collezione di monete messa insieme con amorosa cura da Vittorio Emanuele III in oltre sessant’anni di appassionate ricerche ma non ne rappresenti il catalogo in senso stretto[3]. Sebbene, infatti, il re avesse cominciato a pensare ad una pubblicazione delle monete che andava via via acquisendo e catalogando fin dal 1896, in occasione del primo riordino della propria collezione[4], l’idea originaria venne ampliandosi nel tempo, fino a trasformare il primitivo, e più tradizionale, progetto di semplice catalogo della propria collezione in quello, molto più ambizioso, che mirava alla realizzazione di un vero e proprio corpus di tutte le monete emesse dalle zecche italiane, a partire dalla caduta dell’Impero romano di Occidente, per terminare con il Regno d’Italia. Un progetto di ampio respiro che si estese a tutto il materiale reperibile in collezioni pubbliche e private tanto in Italia quanto all’estero, senza escludere le monete divisionali, poco o affatto note, e quelle in cattivo stato di conservazione. Documenti, questi ultimi, dei quali Vittorio Emanuele dovette comprendere appieno il valore storico, se ad esse destinò un così ampio spazio nella propria collezione[5], soprattutto per aree geografico temporali per le quali le conoscenze erano all’epoca, nella migliore delle ipotesi, imprecise e frammentarie.
Grande, quindi, l’attenzione prestata da Vittorio Emanuele al valore di documento dell’oggetto moneta, ma grande anche il consenso e la partecipazione di quanti, a vario livello, seppero prontamente rispondere, pur nell’ambito spesso ristretto dei propri interessi collezionistici, alle richieste di informazioni, integrazioni, rettifiche che venivano loro trasmesse dai più stretti collaboratori del re d’Italia. Per rendere l'opera più completa che fosse possibile - leggiamo nelle Avvertenze al primo volume del Corpus - se ne mandarono le bozze di stampa, via via ch'eran pronte d'un intero periodo, alle principali Raccolte italiane e straniere, con preghiera di notarvi le varianti e le aggiunte. E come saggio del risultato ottenuto, basterà dire che in questo primo volume, il solo terminato finora, s'ebbe circa l'uno e mezzo per cento d'aggiunte di monete nuove o di nuove date, e circa un venti per cento di minute varianti [6] .
Il primo volume della serie, dedicato alle monete di Casa Savoia, vide la luce nel 1910 (fig. 1). Esso rappresentava, per quegli anni, una raccolta unica di materiali che, dalle più antiche emissioni in argento di Amedeo IV conte di Savoia delle zecche di Susa, Avigliana, Chambéry, S. Maurizio, arrivava alla più recente produzione della zecca di Roma[7], completamente rinnovata, per impulso dello stesso Vittorio Emanuele, non solo sotto il profilo artistico ma anche dal punto di vista tecnico. Nel nuovo edificio, infatti, che stava per essere inaugurato sull’Esquilino, espressamente studiato per garantire una più razionale distribuzione della produzione nei diversi reparti operativi, le nuove monete del Regno, delle quali già il volume del 1910 pubblicava prove e progetti, avrebbero potuto contare su un parco macchine moderno ed efficiente, in buona parte acquistato presso le principali ditte presenti sul mercato internazionale[8].
Il lavoro, comunque, come risultò subito evidente, non mancava di errori, dovuti evidentemente alla fretta dei compilatori, specie per quanto concerneva le integrazioni dell’ultimo momento [9]. Critiche, inoltre, furono avanzate circa i criteri adottati nell’impianto generale dell’opera, anche se in parte velate della posizione del (peraltro anonimo) autore. Se, infatti, nella compilazione del primo volume del Corpus il re aveva privilegiato l’unità politico-familiare rispetto a quella territoriale, seguendo un metodo che nel dibattito assai vivace di quegli anni veniva definito "storico", nei restanti volumi i materiali, divisi per zecca, sarebbero stati pubblicati su base regionale. Una organizzazione, quest’ultima, da molti giudicata anti-storica in quanto incapace di fornire un quadro organico delle emissioni autorizzate da ciascuna autorità, specialmente per quegli Stati entro i cui confini operavano più zecche contemporaneamente e dove nell’ambito di uno stesso territorio potevano coesistere sistemi ponderali e monetari diversificati.
Figura 1 - Il primo dei 20 volumi del Corpus Nummorum Italicorum, dedicato alle monete di Casa Savoia, pubblicato a Roma nel 1910
Lo stesso presidente della Società Numismatica Italiana, il senatore Niccolò Papadopoli, nel recensire sulla Rivista Italiana di Numismatica il primo volume del Corpus osservava come l’opera, grandiosa nel suo insieme e ansiosamente attesa dagli studiosi, non avesse in realtà risolto i numerosi problemi scientifici che, specie per i materiali più antichi, restavano ancora sul tappeto[10]. D'altra parte, come osserva ancora il Papadopoli, l'approfondire e risolvere anche solo taluna di tali difficoltà avrebbe voluto dire perdere anni di tempo in ricerche di esito non sempre sicuro, e ciò male avrebbe risposto alle impazienze di chi attendeva e a quelle ben legittime dell'Autore che da siffatte lunghe indagini vedeva sempre più allontanato quel principio di esecuzione del suo piano grandioso che era in cima ai suoi pensieri. Del resto questa deficienza può considerarsi insita nel concetto stesso dell'opera che si proponeva di raccogliere in un sol corpo la descrizione delle monete italiane quali esse sono note al presente senza sottoporle a nuovi studi, perché in tal caso il lavoro si sarebbe dovuto ideare ed eseguire diversamente [11].
Un giudizio critico ripreso, anche se più larvatamente, da Serafino Ricci in occasione di un suo intervento ad un convegno di archeologia tenutosi a Roma nell’autunno del 1912, nel quale, riferendosi all’opera di Vittorio Emanuele, auspicò che per ogni volume del Corpus venisse previsto un supplemento che, ispirandosi alla storia politica, economica, artistica delle varie regioni d’Italia, ne completi la storia della monetazione, aggiungendo documenti, indici e bibliografia speciali, affinché il Corpus Nummorum Italicorum torni più generalmente utile alla storia, all’economia, all’arte della nazione [12].
Una esigenza, questa, espressa in tempi più recenti anche da Philip Grierson il quale, pur riconoscendo gli indubbi meriti di un’opera grandiosa che aveva messo a disposizione degli studiosi una massa enorme di materiali spesso inediti, scrive: [Vittorio Emanuele] avrebbe almeno potuto realizzare una breve revisione ai volumi: cosa che un vero numismatico, distinto da un collezionista, avrebbe fatto, anzi, non avrebbe potuto fare a meno di realizzare [13].
Né meno critico appare il giudizio espresso da Colin Martin che ancora nel 1965, a cinquant’anni dalla pubblicazione del primo volume, giudicava il Corpus Nummorum Italicorum deludente, nonostante il titolo promettente. Il suo autore - egli aggiunge - ha semplicemente ripreso la classificazione di Promis, aggiornato qua e là da rari lavori di Rabut e Ladè. Quest’opera, monumentale nella forma, è ben misera nella sostanza. Essa non contiene nessuna esposizione di natura storica né qualsiasi tipo di dibattito. È, in sostanza, un catalogo coscienzioso, ma, ahimè, inutilizzabile da parte degli storici [14].
Indubbio era stato, comunque, il successo editoriale del Corpus Nummorum Italicorum, rivelatosi fin dal primo momento un insostituibile strumento di lavoro per quanti si accingevano a studiare la moneta italiana. E la sua fortuna continua ancora oggi[15], sebbene rischi talora di scadere in panegirici non sempre giustificati, che condizionano, adesso come allora, la serenità di giudizio su un’opera che va semplicemente ricollocata, e valutata, nella sua dimensione di catalogo, ampio e aggiornato, delle emissioni italiane di età medioevale e moderna, recuperandone le obiettive valenze di originalità nei confronti della coeva, e non solo, catalogazione di collezioni tanto pubbliche quanto private[16].
In realtà, l’unità territoriale, organizzata sulla base di una ben precisa unità produttiva rappresentata dalla zecca, mentre da un lato garantiva la facile organizzazione di un materiale estremamente differenziato e complesso, semplificandone al massimo il reperimento, dall’altro rendeva possibile la immediata lettura "stratigrafica" delle diverse fasi storiche succedutesi in un determinato sito, offrendo una visione unitaria delle diverse realtà politiche susseguitesi nel tempo su quel territorio secondo un processo per alcuni versi paragonabile alle più moderne tecniche di indagine archeologica.
Inoltre, guardando senza preconcetti all’ordinamento dato da Vittorio Emanuele all’immensa collezione da lui raccolta nell’arco di circa sessant’anni, si resta colpiti sia dalla facilità con cui ancora oggi, anche in mancanza di una qualsiasi indicazione sulla collocazione del materiale conservato nei 28 armadi medagliere della Collezione, è possibile trovare un qualsiasi pezzo sulla base dei soli dati anagrafici (zecca, autorità emittente, nominale, eventuale data di emissione), sia dalla quantità di notizie che ci forniscono i cartellini associati alle monete presenti nella collezione. Oltre ai dati identificativi del pezzo, infatti, il re, con una procedura affatto usuale presso gli altri collezionisti dell’epoca, ne registrava la provenienza (dono, acquisto, collezione, rinvenimento), la data di acquisizione e, in caso di acquisto, la somma pagata[17].
L’edizione degli altri 19 volumi del Corpus, come è noto, proseguì con ritmo abbastanza regolare dopo il 1910, per interrompersi poi bruscamente nei difficili mesi del 1943 che videro il re in fuga verso Brindisi, l’Italia spaccata in due e le 23 casse nelle quali era stata riposta la collezione sballottate tra Italia e Germania[18].
Il Corpus si interrompe con la chiusura della zecca di Napoli. Restano ancora da pubblicare, oltre alle monete di nuova acquisizione, tutti i materiali prodotti in zecche siciliane, dalmate, ionie, africane, orientali, europee. Resta inedita anche la straordinaria produzione della zecca di Roma per Amet Zogu, sia come presidente sia come re degli albanesi dopo il 1928, come pure la ricca raccolta di pesi monetali. E restano ancora oggi da sistemare centinaia di pezzi che, come in ogni collezione, attendevano, in paziente disordine, di essere studiati, catalogati e, da ultimo, ricollocati nei loro definitivi alloggiamenti dal loro raccoglitore[19]. Nel complesso un materiale ricco di suggestioni che ci lascia intravvedere la cura paziente dedicata da Vittorio Emanuele alla collezione di monete anche nei momenti più bui della sua vita, non esclusi gli anni difficili dell’esilio in terra egiziana, quando la collezione di monete era oramai l’unico bene capace di assicurare la sopravvivenza alla famiglia reale italiana[20]. Ma anche la storia di una passione durata una vita, che non venne mai meno, neppure nel solitario tramonto africano.
Pietro Oddo, ultimo segretario numismatico di Vittorio Emanuele
Nella stesura dei volumi il re si era sempre servito di segretari numismatici particolarmente competenti nei diversi settori che via via venivano fatti oggetto di pubblicazione[21], l’ultimo dei quali fu proprio quel Pietro Oddo che nell’immediato dopo guerra troviamo impegnato nel riordino della collezione, oramai proprietà dello Stato italiano.
Appassionato collezionista e conoscitore delle monete meridionali, Pietro Oddo era stato chiamato a collaborare con il re nella stesura di quelli che sarebbero stati gli ultimi volumi del Corpus, il XVIII, dedicato alle zecche minori dell’Italia meridionale, pubblicato nel 1939, il XIX, uscito nel ’40, sulle emissioni della zecca di Napoli fino a Carlo V, e il XX, del ‘43, dedicato anch’esso alla zecca di Napoli, fino alla chiusura nel 1870[22].
Figura 2 - Nei cassetti della Collezione il feltrino nero in genere indica le monete pubblicate sul CNI, quello viola le acquisizioni successive alla pubblicazione e pertanto inedite, quello verde i falsi (solitamente falsi d’epoca), mentre i cartoncini marroni contrassegnano gli scomparti rimasti vuoti
Un impegno del quale sentiva tutto il peso, tanto da decidersi, lui collezionista di monete meridionali, a disfarsi della propria raccolta per dedicarsi interamente al nuovo compito che gli era stato affidato.
Le monete della collezione Oddo, 3.358 in tutto, furono acquistate nel 1938 dalla Banca d’Italia assieme ad una ricca raccolta di libri dai quali Oddo, "per ragioni private", si era dovuto separare[23]. I libri sono conservati nella biblioteca Paolo Baffi della Banca d’Italia, le monete nel caveau della Banca. Una selezione di pezzi è ora esposta in una apposita sala del Museo della Moneta, in Palazzo Koch a Roma (fig. 3)[24].
La collezione di monete: il periodo bellico
Sulla formazione della collezione di monete di Vittorio Emanuele e sul suo incremento negli anni antecedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale molto si è scritto, dal documentato articolo di Vico D’Incerti[25] al bel libro di Lucia Travaini[26] che, con uno sguardo più ampio, ripercorre la storia di questa grande passione del re, armoniosamente sviluppatasi negli anni con risultati straordinari.
Più complesse, invece, le vicende della collezione nel periodo bellico, quando fu oggetto di ripetuti trafugamenti e avventurosi recuperi, a partire da quel 5 dicembre del 1942 quando il re, temendo le incursioni aeree sulla città di Roma, ne iniziò l’imballaggio[27]. Il lavoro, nonostante la delicatezza delle operazioni di registrazione dei dati sulle bustine di carta nelle quali venivano riposte le monete prima di essere chiuse in apposite casse di legno, dovette procedere abbastanza speditamente se esso risulta terminato già il successivo 25 gennaio.
Figura 3 - Roma, Palazzo Koch. Una delle sale del Museo della Moneta della Banca d’Italia
Ricoverate in un primo momento nel rifugio romano di Forte Antenne, le 23 casse con le monete furono in seguito trasferite, per volontà dello stesso sovrano, in Piemonte, nella più sicura residenza reale di Pollenzo. Ma il precipitare degli eventi nel settembre del ‘43 e la proclamazione della Repubblica Sociale, togliendo di fatto al governo regio ogni possibilità di controllo sui beni rimasti al Nord, segnarono per la collezione l’inizio di un lungo e travagliato periodo di spostamenti e, a quanto si disse allora, di trafugamenti. Trasportate, subito dopo la proclamazione della Repubblica di Salò, a Monaco di Baviera su autocarri tedeschi, le casse con le monete rientrarono frettolosamente in Italia ai primi di gennaio del ’44. Motivi di opportunità politica, infatti, avevano indotto Mussolini, preoccupato per le reazioni suscitate nella stampa dalla notizia del "trafugamento" delle monete, a sollecitarne la restituzione presso lo stesso Fürer[28].
Ma le traversie per la collezione di Vittorio Emanuele non erano certo terminate. Tra il 16 gennaio del ’44 infatti, data del loro rientro in Italia, e il mese di giugno del ’45, molti restano ancora gli aspetti da chiarire di una vicenda che vide coinvolti personaggi della politica e della cultura chiamati a ricoprire incarichi pubblici nella Repubblica Sociale Italiana. Oggi la pubblicazione dei diari e di altri scritti di Carlo Anti, all’epoca Direttore generale delle Arti della RSI, ci fornisce nuove tessere per la ricostruzione di un mosaico solo in parte noto[29]. Di particolare interesse risultano le carte conservate nel fascicolo intitolato Beni ex Reali. Si tratta di copie di lettere e di relazioni riservate scritte dallo stesso Anti o da alti funzionari dell’epoca aventi per oggetto i beni sequestrati alla famiglia reale e ad altri membri di Casa Savoia. Dalla loro lettura emergono le difficoltà di una gestione complessa in una situazione politicamente instabile, soggetta nello specifico agli umori delle forze alleate tedesche, con, in più, un non tanto larvato conflitto tra lo stesso Anti, che nella sua qualità di Direttore generale delle Arti rivendicava la tutela dei beni della ex casa regnante, e l’avv. Giuseppe Steiner, nominato Commissario per la gestione del patrimonio privato dell’ex casa regnante e dei principi dei rami collaterali direttamente dal Duce con decreto del 2 marzo 1944.
Il 20 aprile di quell’anno lo Steiner, da poco insediato, informava il Ministro dell’Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini, di aver presa conoscenza della corrispondenza intercorsa tra il … Ministero [dell’Educazione Nazionale] e la Prefettura di Cuneo, relativamente alle casse depositate presso quella Intendenza di Finanza e concordava con lo stesso sull’opportunità di trasferirle nel castello di Aglié unitamente ad altre 247 casse di argenteria, quadri ed altri valori provenienti dal Palazzo reale di Napoli, rinvenute nel frattempo a Roma presso il Quirinale. Del trasporto, una volta acquisite le necessarie autorizzazioni, si sarebbe dovuto occupare il Soprintendente alle Arti di Torino Carlo Aru[30]. Ma quando, a maggio, tutto era oramai pronto per il trasferimento del noto materiale nel castello di Aglié[31], si apprese che da Roma non sarebbero più arrivate le casse conservate presso il Quirinale, dove nel frattempo erano state murate. Il 29 maggio lo Steiner ne informava le autorità competenti[32] sottolineando al tempo stesso la necessità di procedere ad un accurato inventario dei beni custoditi a Pollenzo prima del loro trasferimento nella nuova sede: il Ministero potrà decidere il trasporto e la conservazione di quanto sottoposto alla sua vigilanza dove meglio crederà, ma l’inventario e lo smistamento devono aver luogo vicino a Cuneo e precisamente a Racconigi. Quando sarà identificato il contenuto delle casse, ognuno dei tre enti interessati deciderà per il meglio [33] . Il provvedimento nasceva dalla necessità di verificare lo stato e la consistenza dei beni ancora contenuti nelle casse che risultavano essere state aperte, e manomesse, talune quasi completamente svuotate. È pericoloso - egli aggiungeva - far girare troppe casse aperte ed antieconomico il viaggio di bauli che destano d’altra parte, ne ignoro il motivo, particolarissimo interesse da parte di tutti. Dell’inventario sarebbe stata poi inviata copia alla Direzione generale delle Arti, che ne avrebbe deciso la destinazione, mentre il residuo di quello che non sarà versato nella Zecca per la fusione o all’Ente Assistenza Profughi delle terre invase, sarà portato tutto a Monza, all’ex Villa Reale, sede del quartier generale del commissario Steiner[34].
Sull’effrazione delle casse aveva, fin dal precedente mese di aprile, indagato l’Intendenza di Finanza di Cuneo, su incarico della Questura, accertando che la manomissione riguardava anche alcune delle casse che contenevano la collezione di monete:
La Questura, in data 13 aprile, comunicò ufficialmente "che l’effrazione fu effettuata dalle Autorità Germaniche, giusta analoga affermazione dell’Intendenza stessa e giusta conferma risultante dalle unite dichiarazioni del sott’ufficiale di P.S. addetto in quel tempo alla vigilanza del castello stesso". Due furono le testimonianze al riguardo. La prima del Vice Brigadiere di P.S. Dante Perosino, "assegnato al Castello di Pollenzo per la sorveglianza [delle] casse del patrimonio privato reale", il quale dichiarò "che sino al 29 ottobre 1943, data in cui le casse vennero requisite dal Comando Germanico di Torino, [a] nessuna delle casse venne tolto il sigillo o manomesso"… Inoltre il sottufficiale Perosino fece presente che "un’aliquota di casse venne aperta i primi giorni del rinvenimento da due ufficiali tedeschi. L’altra rimanenza due mesi dopo circa venne inventariata da ufficiali e borghesi della P.S. germanica provenienti da Torino. Durante la permanenza del picchetto al castello a nessuno […] fu consentito l’accesso all’abitazione". L’altra testimonianza è del custode del castello di Pollenzo, Giovanni Scaparone, il quale aveva in "consegna le casse del patrimonio privato reale". Anch’egli dichiarò che a nessuna cassa fu tolto il sigillo fino all’ottobre del 1943, ma successivamente, supponendo che una parte della cassa contenesse tesori, "furono subito aperti [i sigilli] i primi giorni del rinvenimento da ufficiali Tedeschi. Le rimanenti casse furono inventariate, dopo circa due mesi, da ufficiali e borghesi della P.S. Germanica" [35].
Ma ancora ad agosto nessun provvedimento era stato adottato dalle autorità competenti, nonostante la precarietà in cui versavano i beni della ex casa regnante. Il 18 agosto del ’44 Carlo Anti nella sua qualità di Direttore generale delle Arti consegnava al ministro Biggini un appunto in cui, ripercorrendo gli eventi degli ultimi mesi, faceva presente che presso l’Intendenza di Finanza di Cuneo erano depositate 367 casse provenienti dal castello reale di Pollenzo contenenti oggetti d’interesse storico-artistico, fra cui la rarissima e importantissima collezione numismatica dell’ex Sovrano, presa, quest’ultima, in consegna direttamente dallo Steiner e dallo stesso trasferita nella propria residenza di Monza:
Data la grande importanza nazionale della collezione, la impossibilità di una seria verifica senza la lunghissima cooperazione di numerosi specialisti, data la natura speciale del materiale che può essere facilmente surrogato pur con pieno rispetto degli inventari, dello stato presente delle casse dovrà essere steso apposito verbale e le casse dovranno essere chiuse e sigillate con i sigilli delle Autorità presenti, così che nessuno possa aprirle di sua iniziativa finché non saranno realizzate le condizioni per una seria verifica e una definitiva consegna della preziosa collezione.
Queste le condizioni dettate dall’Anti per le monete, mentre per gli oggetti d’argento se ne sarebbe potuta consentire la fusione solamente di quelli che non risultano di speciale valore storico artistico [36].
Una contesa sulle competenze, quella tra il commissario Steiner e il Direttore generale delle Arti Carlo Anti destinata a trascinarsi, irrisolta, anche nei mesi successivi e alla quale l’avv. Steiner imputa il lungo contenzioso sulla destinazione delle casse di Pollenzo, specialmente di quelle contenenti le monete, andate nel frattempo in parte disperse e da lui recuperate, facendole infine ricoverare in un luogo segreto.
C’è voluta la mia buona volontà - scriveva infatti lo Steiner al comandante Francesco Maria Barracu, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il successivo 4 settembre - ed il mio spirito d’iniziativa, c’è voluta soprattutto la tenacia ed il sano fegato sardo della mia Soprintendente ai beni mobili dell’ex casa regnante, signorina Assuntina Cogoni, per sfidare e superare difficoltà d’ogni genere, bombardamenti, mitragliamenti e ribelli di vario rango e colore per scovare le monete dove si trovavano. La Direzione Generale delle Arti ora monta in cattedra e ci viene, tra l’altro, ad insegnare che le monete possono essere delittuosamente sostituite "pur con pieno rispetto degli inventari", ma non si è mai, dico mai preoccupata del fatto che le casse della raccolta erano tutte, dico tutte, manomesse aperte e talune sfondate. Ad ogni modo la sunnominata Direzione Generale si tranquillizzi: nessuno di noi si è mai sognato di mettersi a fare inventari di decine di migliaia di monete. Le casse che avrebbero dovuto, e da tempo, essere chiuse e sigillate dall’autorità che ha la sorveglianza e la tutela sui valori artistici italiani, sono state da noi chiuse e sigillate dopo avervi aggiunte quelle monete che nel frattempo, eludendo la sorveglianza e la tutela di cui sopra, se ne erano andate qualche decina di chilometri lontane. Ora la raccolta numismatica in casse chiuse, sigillate e scortate da autoblindate è in viaggio per la destinazione che Tu e soltanto Tu sai [37].
Una catena di responsabilità denunciate anche dal ministro Biggini in una lettera del 14 settembre 1944 delle quali era oramai difficile ricostruire l’esatta dinamica, che risultava particolarmente grave e deplorevole a proposito della collezione numismatica costituita dall’ex sovrano, la quale rappresentava un insieme di inestimabile valore "ideale" più che materiale … per il popolo italiano [38]. E sullo stato della collezione di monete tornerà, di lì a pochi giorni, anche il soprintendente Aru in una relazione datata 21 settembre, precisando che dell’apertura fraudolenta delle casse contenenti la raccolta numismatica si aveva notizia già nei verbali di consegna all’Intendenza di Finanza di Cuneo, nei quali si leggeva testualmente: risultano aperte a forza anche le casse contenenti la raccolta numismatica [39] , e imputando alla mancata sorveglianza della Direzione delle Arti il trafugamento di un imprecisato numero di monete [40].
Altri movimenti di casse contenenti beni di Casa Savoia venivano segnalati nel successivo mese di ottobre, ma l’ubicazione della collezione di monete restava, almeno per le autorità delle belle arti, ancora avvolta nel mistero[41]. A dicembre, poi, il direttore dei Musei Civici di Milano, Giorgio Nicodemi, proponeva al ministro Biggini e al commissario Steiner che la collezione venisse trasferita al medagliere di Brera, ottenendo assicurazioni in tal senso:
Il commissario può fare la storia delle cure avute da lui e dal suo personale per mettere in salvo la raccolta - scriveva Giorgio Nicodemi -: egli assicura che tutte le casse gli furono consegnate evidentemente manomesse. Perché però è in possesso degli schedari su questi si potranno certamente fare i necessari riscontri. Mi sono permesso di pregare l’ecc. il Ministro che considerasse l’opportunità di fare il deposito della raccolta, o, meglio, di quanto resta di essa, al Medagliere di Brera, e di nominare una ristretta commissione di specialisti della numismatica italiana per le verifiche della consistenza [42].
Un’ipotesi, questa, che il direttore generale Anti bolla di imprudenza, facendo presente, da un lato, i tempi lunghi che un tale lavoro di revisione avrebbe comportato e, dall’altro, sottolineando il fatto che specialisti di numismatica italiana, i quali non siano al tempo stesso commercianti, sono rarissimi [43] .
Un contenzioso che si trascinerà fino al mese di aprile del ’45 quando, crollata la linea gotica, troviamo nuovamente le casse con le monete ammassate su un autocarro tedesco in marcia sulla via di Bolzano, questa volta diretto a Gries[44], dove verranno recuperate dalle forze alleate subito dopo il ritiro dell’esercito tedesco.
La collezione - annotava in tale occasione Carlo Anti su un foglietto ritrovato tra le sue carte - fu trovata nelle cantine del palazzo Reale di Bolzano dove era stata consegnata e depositata da Steiner/Barracu: sigillata, pesata e quindi sorvegliata da un servizio continuo di sentinelle, ancora sul posto quando gli alleati arrivarono a Bolzano [45].
A giugno le preziose casse, riportate dagli alleati a Roma, erano nuovamente al Quirinale. Il 19 di quello stesso mese, un martedì, Umberto di Savoia, luogotenente del re, poteva finalmente ringraziare gli impiegati per la premura nella restituzione del monetario del Re. L’episodio è così riferito da Luigi Einaudi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia:
Alle 19 al Quirinale. Il Principe [Umberto] ringrazia gli impiegati per la premura nella restituzione del monetario del Re. Purtroppo, facendo la ricognizione precisa, si constata che i tedeschi hanno asportato quasi tutte le monete d’oro, le quali costituivano la parte più preziosa della rarità della collezione. Il peggio sarà che quelle monete saranno fuse per farne perdere le tracce, disperdendo un patrimonio storico inestimabile per ricavarne semplicemente un poco d’oro. Tedeschi e fascisti repubblicani hanno commesso altresì grossi guasti nelle carte e nei documenti degli archivi di Pollenzo, Racconigi e Torino. Carte e documenti di cui non capivano l’importanza erano sbattuti per terra, calpestati e finivano per alimentare il fuoco nei caminetti [46].
Con la restituzione ai legittimi proprietari si concludeva così anche l’ultima avventura della Collezione Reale. Da Roma Vittorio Emanuele farà poi trasferire a Napoli due delle casse recuperate per verificarne i contenuti. E grande fu il suo disappunto nel constatare che alcuni pezzi di valore erano stati trafugati, come ricorda il generale Paolo Puntoni, primo aiutante di campo del re: Le casse - leggiamo nel suo diario sotto la data dell’11 giugno - sono state manomesse. Monete di valore, specialmente d’oro, sono state trafugate [47].
Storie parallele: l’oro della Banca d’Italia e quello della Regia Zecca
Anche la riserva aurea della Banca d’Italia, come era accaduto per la collezione di monete del re, aveva attirato l’interesse della autorità tedesche. Fin dai primi giorni di settembre del 1943[48].
Dopo la firma unilaterale dell’armistizio con gli alleati a Cassibile e la fuga del governo Badoglio verso Brindisi, gli eventi erano precipitati. Il 10 settembre le autorità tedesche avevano assunto il pieno controllo di Roma. Il 12 Mussolini veniva liberato da un gruppo di paracadutisti tedeschi discesi sul Gran Sasso. Nel nord Italia nasceva la Repubblica Sociale. In quegli stessi giorni l’ambasciatore tedesco Rahn rientrava a Roma con la carica di plenipotenziario del Reich.
L’oro della Banca d’Italia fu subito al centro delle mire dei più importanti servizi tedeschi, che spedirono o delegarono emissari speciali dotati di pieni poteri, con l’ordine di mettere le mani sul tesoro [49].
La mattina del 20 settembre 1943 al Governatore della Banca d’Italia Azzolini perveniva l’ordine di consegnare alle autorità tedesche l’oro della riserva che per motivi di sicurezza doveva essere trasferito al Nord: i tedeschi avevano dato di tempo fino alle ore 15 per una risposta, avvertendo che se fosse stata negativa avrebbero senz’altro agito "in modo diverso" [50].
In Banca fin dalla notte precedente, avuto sentore di quanto stava per accadere, ci si era adoperati per nascondere una parte almeno dell’oro. In poche ore venne tirato su un tramezzo da maestranze di provata fiducia per ricavare un locale segreto entro il quale nascondere una parte almeno delle riserve disponibili. Inoltre, per rendere credibile la scarsa consistenza di queste, fu compilata una falsa bolla di spedizione di una grossa partita d’oro alla filiale di Potenza, retrodatandola al dicembre dell’anno precedente. Non si sottovalutavano, comunque, i rischi di una tale operazione. Si temeva, infatti, per l’incolumità non solo delle persone coinvolte, ma anche per la stessa città di Roma. Quando poi fu chiaro che le autorità tedesche disponevano di informazioni dettagliate sulle riserve della Banca, i vertici di via Nazionale, fatta sparire ogni traccia del tentato occultamento, decisero di ottemperare a quanto loro richiesto.
In due successive spedizioni, il 22 e il 28 settembre del 1943, tutto l’oro della riserva venne quindi trasferito al nord, presso la filiale di Milano. Si trattava di poco più di 119 tonnellate di metallo in verghe e in verghette (ricavate dalla fusione di monete e oggetti d’oro) e di monete in oro, solo in parte di proprietà della Banca[51].
Cominciava, così, per lo stock aureo della Banca d’Italia, una lunga vicenda di trasferimenti che, a guerra finita, avrebbe dato origine ad un contenzioso terminato solo nel 1998, dopo ben 55 anni.
Intanto su pressione del maresciallo Goering, ministro dell’aereonautica e responsabile del piano quadriennale, che mirava a trasferire l’oro italiano in una località direttamente controllata dalle autorità tedesche, il 16 dicembre del ’43 i barili contenenti l’oro della Banca da Milano furono trasportati nel forte militare di Fortezza, una località dell’Alto Adige strategicamente collocata sulla via del Brennero e compresa nel territorio dell’Alpenvorland, il cui governatore risiedeva ad Innsbruck. In pratica l’oro passava sotto il controllo tedesco, anche se formalmente la Banca d’Italia continuava ad esserne la consegnataria. A dicembre il trasferimento risulta completato. Ma non bastava. Il 5 febbraio del ’44 a Fasano, sul lago di Garda, tra la Repubblica Sociale Italiana e il Governo tedesco veniva stipulato un accordo che prevedeva la consegna immediata alla Germania di alcune partite di oro come contributo per la comune condotta della guerra [52]. Il 29 febbraio, in ottemperanza agli accordi di Fasano, veniva inviata a Berlino una prima partita di oro, un’altra partiva per la Svizzera il successivo 20 di aprile. A maggio Vincenzo Azzolini riceveva l’ordine di spedire in Germania anche l’oro residuo rimasto a Fortezza: da Roma, dove si trovava, il governatore della Banca d’Italia cercò di prendere tempo. Ma già ad agosto cominciarono a circolare voci sul trasferimento oltralpe di tutto l’oro della riserva italiana, voci la cui eco sarà raccolta, ancora nel febbraio dell’anno successivo, da Luigi Einaudi, il quale annotava nel proprio Diario: Sembra che l’oro invece di essere immesso nella galleria di Fortezza sia stato immediatamente trasferito in Germania [53]. Voci che in realtà, a liberazione avvenuta, si riveleranno infondate. Intanto il 21 ottobre del ‘44 una nuova partita di oro aveva preso la strada di Berlino, per essere anch’essa consegnata alla Reichsbank, da dove nei mesi di febbraio-marzo dell’anno successivo venne trasferita, per ragioni di sicurezza, assieme a tutto l’oro della banca tedesca in una miniera di potassio in Turingia.
Ma oramai anche la vicenda dell’oro si avviava verso la conclusione: nel mese di aprile del ’45 la Banca d’Italia trasmetteva agli alleati gli elenchi delle casse e dei barili a suo tempo inviati al nord; il 30 dello stesso mese i tedeschi in ritirata consegnavano le chiavi del deposito di Fortezza agli italiani e, dopo un sopralluogo effettuato il successivo 6 di maggio dagli americani nei sotterranei di Fortezza, il giorno 17 i barili e le casse contenenti l’oro della nostra riserva potevano finalmente rientrare a Roma, nelle sacrestie della Banca d’Italia[54].
Si trattava di 55 bisacce di monete chiuse in cassette di legno e di 153 barili di ferro contenenti oro in verghe, per un peso complessivo di kg 24.765,2.
Il controllo delle partite di metallo prezioso riportate a Roma resterà comunque in mano alleata e per la sua, peraltro parziale, restituzione all’Italia sarà necessario attendere la fine dei lavori della Commissione tripartita per la distribuzione dell’oro monetario agli aventi diritto. L’ultimo stock di metallo fu consegnato dal Pool dell’oro al nostro paese il 29 giugno 1998: si trattava di ca. 764 chili di fino il cui controvalore in lire venne convogliato nel fondo di assistenza a favore delle vittime delle persecuzioni (L. 249 del 10 agosto 2000). Il 9 settembre del 1998 il Pool dell’oro, terminati i lavori, veniva definitivamente sciolto. Erano passati esattamente 55 anni dalle requisizioni del settembre del ’43.
Resta da aggiungere, per completezza di informazione, che il 22 settembre del ’43 assieme ai barili contenenti l’oro della Banca d’Italia furono trasferiti a Milano 13 barili consegnati dalla R. Zecca, contenenti, secondo dichiarazione del Ministero delle Finanze, kg 1.838,750.853 di oro in lega e kg 0,021.6 di platino [55] , che seguirono le peregrinazioni dell’oro dalla Banca. Nell’aprile del ’45 anche l’oro della zecca venne trasferito da Fortezza a Roma dalle forze alleate assieme alle restanti partite di lingotti, verghe e monete della Banca d’Italia: si trattava di 13 barili per un peso dichiarato dalla zecca, e mai verificato dalla Banca, di kg 1677,000000[56].
9 maggio 1946: dal Re in partenza per l’esilio un dono di inestimabile valore storico
Il 9 maggio del 1946 il vecchio Re dalla lancia che lo avrebbe portato verso l’esilio, tornando col pensiero a quella che era stata la più grande passione della sua vita, donava la propria collezione al popolo italiano. Il 12 maggio il re Faruk d’Egitto accoglieva Vittorio Emanuele al porto di Alessandria. Il 16 De Gasperi rispondeva all’ex sovrano con il seguente telegramma[57]:
SM Vittorio Emanuele - Alessandria d’Egitto
ho letto al Consiglio dei Ministri la lettera con la quale VM annunciava la cessione della raccolta numismatica allo Stato italiano. Il Consiglio dei Ministri, il quale sa apprezzare tutto il valore del dono per la storia del nostro Paese, mi ha incaricato di esprimere a VM la gratitudine del Governo. Adempiendo a tale gradito incarico, La prego di accogliere i sensi del mio profondo ossequio.
Alcide De Gasperi
La collezione venne ufficialmente accettata dal Governo italiano con D.L. n. 108 del 6 settembre 1946 del Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.
I gioielli della Corona
Ma torniamo ancora alle pagine del Diario di Luigi Einaudi dove, con familiare immediatezza, vengono registrate le impressioni e gli eventi di quella primavera del ’46 che tanto profondamente segnarono la storia del nostro paese:
Mercoledì 5 giugno [1946]: Alle ore 10 mi telefona il marchese Lucifero dicendomi che il Re [Umberto II] desiderava vedermi e fissa l’appuntamento per le ore 11. Al portone di piazza del Quirinale i soldati alzano la catena che sbarra l’ingresso. Il guardaportone ed i camerieri hanno l’aria un po’ smorta … Il Re mi riceve come al solito e forse un po’ più serio, e mi comunica che in conseguenza degli avvenimenti egli desidera che le gioie così dette della corona non vadano immediatamente in mano ad un commissario, il quale potrebbe prendere dei provvedimenti affrettati e magari farne una distribuzione od un’assegnazione non conforme all’importanza storica della gioie stesse. Me le fa vedere racchiuse in un cofano a tre piani. Trattasi delle gioie le quali erano portate dalle regine e dalle principesse di Casa Savoia. Vi è il celebre diadema della Regina Margherita, accresciuto e portato poi dalla Regina Elena. Vi sono altri monili. Trattasi in ogni caso di gioie le quali hanno avuto una storia particolare nelle vicende della sua Casa. Egli desidera che esse siano depositate presso la Banca d’Italia per essere consegnate poi a chi di diritto… Si fissa, insieme, per le ore 5 del medesimo giorno la consegna da parte del marchese Lucifero alla Banca [58] .
E così i gioielli della casa regnate che stava per lasciare definitivamente il paese furono consegnati alla Banca d’Italia, dove si trovano tutt’ora[59].
La Collezione Reale dai depositi del Quirinale a Palazzo Barberini
Le monete, ricoverate in un primo momento nei depositi del Quirinale[60], vennero con D.L. n. 108 del 6 settembre 1946 affidate in custodia all’Istituto Italiano di Numismatica, dove saranno trasferite solo il 24 febbraio del 1954. Nel frattempo l’ex segretario numismatico del Re Pietro Oddo veniva nominato, con lettera del Ministro della Pubblica Istruzione il 9 febbraio del ‘48, conservatore della Raccolta Reale, con l’incarico di provvedere ad una adeguata revisione e sistemazione dei materiali ed alla pubblicazione dei volumi mancanti del Corpus [61].
E sarà proprio Pietro Oddo, dopo il trasferimento della Collezione Reale a Palazzo Barberini, nuova sede dell’Istituto Italiano di Numismatica, a provvedere alla sistemazione delle monete negli armadi medaglieri fatti costruire appositamente da Vittorio Emanuele nel 1936. Nelle operazioni venne assistito da Laura Breglia, all’epoca vice segretario dell’Istituto, e dalla segretaria Serafini. In tale occasione furono anche predisposti appositi registri nei quali poter registrare tutte le monete man mano che si procedeva alla loro sistemazione.
Nel 1971 la Collezione Reale viene trasferita presso il Museo Nazionale Romano di Roma
La Collezione Reale fu assegnata al Museo Nazionale Romano con D.L. 5 novembre 1968. Il trasferimento presso il Medagliere del Museo, all’epoca sito nella sede monumentale delle Terme di Diocleziano, fortemente caldeggiato dall’allora presidente dell’Istituto Italiano di Numismatica Laura Breglia, titolare della cattedra di Numismatica greca e romana presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ebbe luogo nel mese di luglio del 1971. Si sperava che nella nuova sede la collezione potesse trovare una sistemazione più idonea, atta a garantirne la valorizzazione e la pubblica fruizione [62]. In realtà, nonostante le molte mostre alle quali il Museo ebbe a partecipare fin dalla seconda metà degli anni ’70 e oltre ai numerosi seminari e conferenze con le quali si cercò di far conoscere l’immenso patrimonio del Medagliere romano, restava il problema della mancanza di locali adatti ad una esposizione numismatica permanente. Da qui l’esigenza di trovare nuovi spazi per l’enorme patrimonio documentale custodito nel Medagliere del Museo Nazionale Romano, spazi che vennero individuati dall’allora soprintendente Adriano La Regina nella sede di Palazzo Massimo alle Terme, di recente acquisizione, dove l’intero Medagliere venne trasferito tra la fine del 1995 e gli inizi del 1996. E finalmente, per la prima volta dopo cinquant’anni, una selezione di monete della Collezione Reale poteva essere esposta al pubblico.
I lavori di allestimento delle sale espositive destinate alle collezioni numismatiche, realizzati su progetto degli architetti Giovanni Bulian e Carmelo La Micela, sono terminati nel mese di giugno del 1998. Nell’esposizione i curatori scientifici Silvana Balbi de Caro e Gabriella Angeli Bufalini hanno voluto privilegiare la valenza storico-economica del documento numismatico anziché quella antiquaria, proponendo al pubblico un percorso che, dipanandosi nel tempo, cercava di ripercorrere la storia della moneta metallica e del suo uso da parte delle popolazioni che hanno calcato il suolo della penisola italica dall’antichità ai nostri giorni. E se alle monete delle collezioni ex Kircheriano e Gnecchi è stato affidato il compito di accompagnare i visitatori nella prima parte del loro cammino attraverso il tempo, alle monete della Collezione Reale è toccato quello di illustrare i grandi cambiamenti che hanno interessato il nostro paese da quel lontano frantumarsi dell’Impero di Roma sotto la pressione dei barbari fino al ricomporsi della nazione Italia sotto la corona sabauda (figg. 9 -12)[63].
Le monete di Casa Savoia e il completamento della collezione nel 1983
Ma alla Collezione Reale, per essere completa, mancavano ancora le monete di Casa Savoia, che si riteneva il re avesse portato con sé in Egitto. Né Pietro Oddo né Francesco Panvini Rosati sembra disponessero di informazioni certe su di esse[64]. Sul finire degli anni ’70, comunque, contatti informali presi dalla scrivente con i più stretti collaboratori di Umberto II portarono non solo alla conferma della loro esistenza ma anche all’assicurazione che, nel rispetto della volontà paterna, Umberto di Savoia intendeva trasferire in Italia, non appena le condizioni politiche lo avessero permesso, le casse delle monete in suo possesso[65].
Ora sappiamo, anche grazie alla memoria di Fausto Solaro del Borgo della quale si fornisce qui di seguito la versione integrale, con quale attenzione Umberto II si sia preoccupato di far rispettare la promessa fatta, quando, conscio dell’aggravarsi delle proprie condizioni di salute, dalla clinica londinese dove era ricoverato volle che le procedure della donazione venissero accelerate.
Ma lasciamo la parola a chi di quegli eventi è stato protagonista.
Febbraio 1983: consegna al Governo italiano della parte della collezione delle monete del Re Vittorio Emanuele III rimasta in possesso del Re Umberto II [66]
In occasione di uno dei miei incontri con S.M. il Re Umberto II a Ginevra, nel febbraio del 1982, il Re mi accennò al problema delle monete della collezione donata da Suo Padre, il Re Vittorio Emanuele III, al Popolo Italiano (con lettera al Presidente del Consiglio, On. Alcide De Gasperi, scritta a Napoli il 9 maggio 1946), rimaste in Suo possesso dopo la morte del Genitore. Si trattava di due cassette contenenti i pezzi più preziosi, in quanto più antichi, che il vecchio Re, partendo per l’esilio in Egitto, portò con se (rilasciandone regolare ricevuta alla Presidenza del Consiglio) al fine di riordinarne la catalogazione. Queste monete si trovavano ad Alessandria d’Egitto al momento della morte del Re Vittorio Emanuele III, avvenuta il 28 dicembre 1947, quattro giorni prima della entrata in vigore della nuova Costituzione che prevedeva l’avocazione dei beni dell’ex Sovrano. Esse rappresentavano l’unico bene patrimoniale importante su cui la Famiglia Reale, che rischiava di restare senza mezzi di sostentamento, potesse contare sicché fu deciso di non procedere alla restituzione.
Il Re Umberto mi precisò che intendeva affidare a me l’incarico di concordare con il Governo Italiano la restituzione delle due cassette conservate nel caveau del Credit Suisse di Losanna, che doveva essere effettuata in via riservata senza coinvolgere alcuno dei Suoi Consiglieri e Familiari, tutti ancora contrari a restituire un bene di così rilevante importanza patrimoniale al Paese che aveva espropriato l’intero patrimonio del Sovrano.
All’inizio dell’estate 1982, in occasione della mia visita a Cascais del 27 luglio, fu deciso che avrei avviato in autunno i contatti con il Governo Italiano per individuare le procedure per la restituzione. L’aggravamento della malattia del Re ai primi di agosto e il Suo ricovero a Londra provocò, come tutti ricorderanno, un’ondata di simpatia per il Malato in esilio, sicché da molte parti si invocava un provvedimento del Parlamento che consentisse ad Umberto II di morire in Italia. In relazione a ciò, con la signorilità, la sensibilità e la bontà che hanno sempre caratterizzato le Sue azioni, il Re mi invitò ad astenermi dall’avanzare proposte di restituzione delle monete, perché non voleva che un tale Suo spontaneo gesto venisse interpretato come una forma di “do ut des”.
Nei mesi dell’autunno 1982 non parlammo della questione nei nostri incontri alla clinica londinese, se non saltuariamente, sempre sentendomi confermare la preoccupazione per una possibile interpretazione che il gesto fosse legato all’ipotetico rientro in Italia. Da parte mia continuavo a notare un peggioramento delle condizioni di salute del Re con il rischio conseguente che, con la Sua scomparsa, le monete per le quali non avevo disposizioni scritte non venissero, dagli Eredi, più restituite all’Italia. Il 23 gennaio 1983, in occasione di una delle mie visite alla London Clinic, presi il coraggio a due mani e feci capire al Re che, date le circostanze ed i rischi connessi ad ulteriori rinvii, occorreva procedere e quindi aprire il negoziato con il Governo.
L’amor di Patria e la grande delicatezza del Re Umberto II si manifestarono ancora una volta quando volle suggerirmi di contattare, per un consiglio sulla procedura da seguire, il Sen. Giovanni Spadolini, all’epoca Ministro della Difesa del Governo Fanfani, dicendomi “Ė il presidente del partito repubblicano, ma sono certo che, da uomo di cultura, metterà da parte in questa occasione le sue idee politiche”. Mi diede anche la precisa disposizione che unica condizione da porre era che nessuna notizia in merito alla riconsegna fosse data prima della Sua morte. Tornato a Roma, tramite un’amica che lo conosceva molto bene, chiesi un incontro con il Ministro della Difesa. Il Sen. Spadolini, per incontrarmi, mi fece chiedere di che cosa intendevo parlargli e, saputolo, mi fece dire che “non vedeva la ragione perché ci si rivolgesse a lui per una questione che riguardava Casa Savoia”. Chiusa questa porta, non avendo rapporti con il mondo politico, mi rivolsi all’amico Marcello Sacchetti che mi propose di incontrare l’On. Nicola Signorello, Ministro del Turismo e Spettacolo. Eravamo intanto arrivati al 18 febbraio e l’On. Signorello, che mi ricevette subito, udito quello di cui si trattava mi disse che ne avrebbe parlato in via confidenziale con il Presidente del Consiglio Sen. Fanfani che doveva incontrare, di lì a poco, in Consiglio dei Ministri. Questo avveniva intorno alle ore 16 del venerdì 18 febbraio.
Descrivo sinteticamente la cronologia degli avvenimenti che portarono al rientro in Italia delle monete mancanti alla collezione donata al Popolo Italiano dal Re Vittorio Emanuele III.
Sabato 19 febbraio:
- ore 9,00: mi chiama al telefono il Professor Damiano Nocilla, Capo dell’Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pregandomi di recarmi a Palazzo Chigi.
- ore 10,30: incontro il Prof. Nocilla, il quale mi comunica di aver avuto incarico dal Presidente Fanfani di chiedermi chiarimenti su quanto a lui comunicato, il pomeriggio precedente, dal Ministro Signorello. Dopo avermi ascoltato mi chiese - essendo completamente all’oscuro su quanto concerneva la donazione del Re Vittorio Emanuele III che risaliva al 1946 - qualche ora di tempo per aggiornarsi sulla pratica.
- ore 15,00: seconda convocazione a Palazzo Chigi da parte del Prof. Nocilla, il quale nel frattempo aveva trovato gli incartamenti originali della donazione, compresa la ricevuta con la quale il Re Vittorio Emanuele dichiarava di portare con se le due cassette per l’aggiornamento della catalogazione, sicché potemmo finalmente affrontare nei dettagli l’esame della procedura da seguire per la riconsegna. Durante il colloquio mi chiese di allontanarsi per andare a riferire al Presidente Fanfani che, indisposto, era a letto nell’appartamento di Palazzo Chigi riservato al Presidente del Consiglio.
- dopo circa mezz’ora il Prof. Nocilla mi informa che il Presidente Fanfani, pur febbricitante, era sceso nel suo studio e desiderava parlare con me.
- ore 16: il Presidente, che da anni era in rapporti molto amichevoli con mio Padre Alfredo, mi accoglie nel suo ufficio con grande cordialità, esprimendo tutta la sua ammirazione per il gesto che il Re morente intendeva fare nei confronti del Popolo Italiano e, dopo essersi fatto esporre in dettaglio la situazione, con la mia richiesta di riservatezza sul mantenimento della quale mi diede la sua personale assicurazione, mi comunicò che intendeva assentarsi e mi pregava di attendere il suo rientro.
- intorno alle 17 il Presidente Fanfani rientra a Palazzo Chigi e mi informa che il Presidente della Repubblica Pertini, dal quale si era nel frattempo recato, anche lui riconoscente per il gesto di Umberto II, aveva disposto che la riconsegna delle monete avvenisse nel più breve tempo possibile, mettendo a mia disposizione l’aereo presidenziale per il loro trasporto a Roma.
Da questo momento in poi, seduto davanti alla sua scrivania, ho l’occasione di sperimentare l’efficienza dell’uomo Fanfani:
- siamo ormai nel tardo pomeriggio, ed il Presidente del Consiglio chiama alla Farnesina l’Ambasciatore Malfatti, Segretario Generale del Ministero Affari Esteri, il quale arriva nel giro di un quarto d’ora;
- nel frattempo concorda con il Prof. Nocilla le modalità legali per la consegna da farsi, a Losanna, attraverso l’Ambasciatore d’Italia a Berna;
- chiede che l’Ambasciatore a Berna, Rinieri Paulucci di Calboli Barone, venga convocato a Roma e, a seguito dell’osservazione dell’Amb. Malfatti che si poteva parlargli per telefono, saputo che io lo conoscevo bene, lo chiama direttamente e, senza fornirgli spiegazioni, gli da disposizioni di recarsi a Losanna con il suo Cancelliere il martedì successivo per incontrarsi con me e fare quanto gli avrei indicato;
- concorda con i presenti, per salvaguardare le disposizioni di massima segretezza dell’intera operazione fino alla morte di Umberto II, di rivolgersi ai Carabinieri: il Presidente Fanfani chiama al telefono il Comandante Generale dell’Arma e gli chiede di organizzare il deposito a Roma;
- intorno alle 19,30 mi congedo dal Presidente Fanfani assicurandogli che avrei fatto il possibile per concludere l’operazione entro il martedì successivo e ricordo bene che lo stesso, avendo appreso da me delle gravissime condizioni in cui versava il Re Umberto, mi disse “Caro Solaro, faccia in modo che il tutto avvenga prima della morte di Umberto II e si ricordi che, se questo non dovesse avvenire, sarà solo colpa sua”.
Dopo aver definito meglio con il Prof. Nocilla gli aspetti legali da osservare, e predisposta una bozza di verbale di riconsegna, lascio Palazzo Chigi intorno alle 22. Viene deciso che, per garantire la massima regolarità, non avendo io alcun mandato scritto del Re, la parte formale sarebbe stata svolta da mio Padre nella sua qualità di Procuratore Generale di Umberto II, ed anche perché, non volendo coinvolgere l’Amministratore del Sovrano, era l’unico ad avere accesso al caveau del Credit Suisse dove si trovavano le cassette.
Domenica 20 febbraio:
Il Presidente Fanfani mi fa pervenire una lettera indirizzata a mio Padre, quale Procuratore Generale del Re, confermando l’accettazione delle monete ed esprimendo la riconoscenza del Governo e del Paese per il gesto del Sovrano morente.
Martedì 22 febbraio:
Alle nove mi incontro all’Hotel Palace di Losanna con l’Ambasciatore d’Italia a Berna, Rinieri Paulucci de Calboli Barone, che trovo abbastanza seccato per il modo in cui era stato trattato dal Presidente del Consiglio e, senza mezzi termini, mi dichiara che mai durante la sua carriera gli era stato chiesto di mettersi a disposizione di un “laico”, portando con se il Cancelliere Capo dell’Ambasciata, il sigillo e la ceralacca. Gli spiego tutto quanto era stato concordato a Roma ed i motivi, purtroppo molto tristi, che avevano richiesto l’adozione di una procedura di particolare urgenza con tempi brevissimi a disposizione.
Con lui e con il Cancelliere mi reco al Credit Suisse, dove incontriamo mio Padre e l’Avvocato dello Stato addetto alla Presidenza del Consiglio, Raffaele Tamiozzo, accompagnato dal Colonnello dei Carabinieri Giovanni Danese, arrivati da Roma con l’aereo presidenziale. La consegna non richiede molto tempo in quanto io avevo preteso ed ottenuto a Roma che le cassette venissero aperte solo dopo la Sua morte, in mia presenza.
Terminata l’apposizione dei sigilli ai due contenitori e la sottoscrizione del verbale da parte di mio Padre per la consegna, dell’Ambasciatore d’Italia per il ritiro, e dei due funzionari presenti, le cassette sono caricate sulla macchina dell’Ambasciata, vengono trasportate all’aeroporto di Ginevra e imbarcate sul DC9 presidenziale. All’arrivo a Ciampino le cassette vengono prese in consegna dal Colonnello Comandante della Legione Carabinieri di Roma e portate nella Caserma del Reparto Operativo di Via Garibaldi, dove concludono il loro periglioso peregrinare durato 37 anni da Roma ad Alessandria d’Egitto, a Cascais, a Ginevra e, finalmente, di nuovo a Roma.
Il 25 febbraio, vedendo avvicinarsi la fine, i Figli organizzarono il trasporto del Genitore in Svizzera all’ Hôpital Cantonal di Ginevra, e il 13 marzo i medici mi permisero di entrare nella Sua stanza per comunicargli l’avvenuta riconsegna delle monete; ricordo le poche parole che riuscii ad udire (grazie…. è la più bella notizia che potevi darmi) che mi confermarono ancora una volta che gli unici pensieri di quell’Uomo in fin di vita erano per il Suo Paese.
Il Re Umberto II muore a Ginevra il 18 marzo 1983. La Sua ultima parola percepita è stata “Italia”.
Il 21 dello stesso mese il Governo Italiano emette un comunicato ufficiale con il quale, dando notizia dell’avvenuta consegna delle due cassette di monete, ricorda la generosità del gesto compiuto dal Re prima della Sua morte.
Il giorno 28 vengo convocato per l’apertura delle due cassette, che avviene alla presenza del Colonnello Ivo Sassi, Comandante della Legione Carabinieri di Roma, del Professor Damiano Nocilla, Capo dell’Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Dottoressa Silvana Balbi de Caro, Direttrice del Museo Nazionale Romano, Museo delle Terme, e di altri Funzionari del Ministero degli Esteri e dell’Avvocatura dello Stato.
La storia non finisce ancora in quanto, una volta aperte le due cassette dalla Direttrice del Museo, Dottoressa Balbi de Caro, comincia l’esame delle monete seguendo il vecchio catalogo del Re Vittorio Emanuele III (Corpus Nummorum Italicorum) e, dove dovevano esservi delle monete d’oro, si trovavano solo delle bustine vuote. Dopo circa mezz’ora in cui, proseguendo nella ricerca, si continuavano a trovare bustine vuote, nell’imbarazzo generale, si decide di sospendere il trasferimento delle cassette dalla Caserma dei Carabinieri al Museo delle Terme, per riferire al Presidente del Consiglio. Io non potevo nemmeno considerare l’ipotesi che il Re Umberto avesse trattenuto le monete d’oro senza farmene cenno; comunque, dovevo arrendermi all’evidenza. Alcuni giorni dopo mi chiama personalmente al telefono il Presidente Fanfani, che aveva saputo del mio dramma da Nocilla, e mi informa che tutte le monete erano state trovate in una parte della cassetta dove, evidentemente, il Re Vittorio Emanuele le aveva raggruppate per la nuova catalogazione.
Finalmente, con la sottoscrizione di un ultimo verbale e con il trasferimento delle monete al Museo delle Terme, dove era conservato il resto della collezione donata da Vittorio Emanuele III, finisce il mio coinvolgimento in una operazione fortemente voluta dal Re Umberto che mai aveva pensato di appropriarsi di quanto donato da Suo Padre al popolo italiano.
Una decina di giorni dopo ricevetti una telefonata da Palazzo Chigi: il Presidente del Consiglio Fanfani mi comunicava che, a seguito di una valutazione del complesso dei beni da me riportati in Italia per conto di un Signore a cui la Repubblica aveva confiscato tutto il patrimonio, era stato appurato che il loro valore superava i venti miliardi di lire. Alla mia domanda se si conosceva il valore dell’intera collezione, il Presidente Fanfani mi disse che lo stesso superava i cento miliardi (anno 1983).
Fausto Solaro del Borgo
Il 28 marzo del 1983 si scioglieva così anche l’ultimo "giallo" che tanto aveva angustiato collezionisti e studiosi: la sezione di monete di Casa Savoia, all’epoca stimata in ca. 4 mila pezzi, rientrata in Italia dalla Svizzera per volontà di Umberto II, poteva ricongiungersi con il resto della Collezione nel Medagliere del Museo Nazionale Romano.
Figura 4 - Le due casse, chiuse e aperte, che contenevano le monete di Casa Savoia consegnate al Medagliere del Museo Nazionale Romano di Roma il 28 marzo 1983 nel 1983 dal reparto operativo della Legione Carabinieri, Roma
Processo verbale di consegna di n. 2 casse sigillate da parte del Ten. Col. Domenico Cagnazzo, Comandante del reparto operativo della Legione Carabinieri, Roma.
Alle ore 16,30 del 28 marzo 1983 nella sede di Via Garibaldi n. 41, alla presenza dei marchesi Fausto ed Alfredo Solaro del Borgo, con delega di Umberto II, e delle autorità italiane, si procedette all’apertura delle due casse in legno consegnate in custodia il precedente 22 febbraio.
Aperta la prima delle casse di legno, si rinviene altra cassa (tipo ordinanza pure in legno) contrassegnata dalle lettere HY, contenente quattro piccole cassette rettangolari in legno sigillate, delle quali una viene aperta al fine di accertarne il contenuto. Si rinvengono bustine di carta contenenti monete presumibilmente classificate. Sono scelte, a campione, alcune bustine al fine di verificare la corrispondenza fra le monete contenute ed i dati indicati nel 1° volume del "Corpus Nummorum Italicorum". Aperta la seconda delle casse di legno, si rinviene altra cassa di legno (tipo ordinanza) anch’essa contrassegnata dalle lettere HY (che si presenta però senza chiusura ermetica), contenente quattro piccole cassette di legno rettangolari. Si rileva che due delle cassette non sono sigillate, pur recando tracce evidenti di precedenti fettuccie metalliche di sigillo. Scelte dalle cassette non sigillate (contrassegnate dai nn. 5 e 6 in rosso) alcune bustine, si verifica la corrispondenza fra le relative monete ed i dati indicati nel citato volume del "Corpus Nummorum Italicorum".
Si da atto che le numerose bustine, sulle quali è scritto "oro", sfilate a campione, risultano vuote. A questo riguardo, la Dottoressa Balbi de Caro osserva che le bustine sopra menzionate, non recando traccia di impronte di monete, presumibilmente non le hanno mai contenute.
Dopo aver completato le operazioni sopra descritte, le due casse tipo ordinanza vengono chiuse, sigillate con spago e ceralacca, e affidate al Ten. Col. Domenico Cagnazzo, incaricato di effettuare il trasporto sotto scorta alla Soprintendenza Archeologica di Roma - Museo Nazionale Romano - Dipartimento Numismatico, Piazza delle Finanze n. 1.
Figura 5 - Alcuni esempi di cassetti contenenti monete appartenenti alla consegna del 1983: i numeri progressivi sono quelli provvisori attribuiti a ciascun pezzo dal gruppo di lavoro ministeriale al momento del loro primo conteggio; i cartellini celesti sono stati compilati dal gruppo di lavoro sulla base di indicazioni generiche rintracciate nelle cassette di legno consegnate alla Soprintendenza; la scritta "AU ?" contrassegna gli alloggiamenti che, nella sequenza geografico-cronologica dei materiali, avrebbero dovuto contenere le monete in oro, in seguito reperite in plico a parte
L’anno 1983, addì 28 del mese di marzo, alle ore 19,25, il Ten. Col. Domenico Cagnazzo consegna le casse suddette, sigillate come sopra descritto, alla Dottoressa Balbi de Caro nella sede di Piazza delle Finanze n. 1 del Museo Nazionale Romano, Dipartimento Numismatico, Soprintendenza Archeologica di Roma, che le riceve dopo averne constatata la integrità di sigilli, assieme a n. 3 (tre) chiavi, di cui una già utilizzata per aprire una delle casse.
I pezzi, al riscontro effettuato dalla Soprintendenza Archeologica di Roma che li aveva presi in consegna, risultarono in realtà ammontare a ben 8.316, dei quali 720 in oro. Trattasi di monete in oro, argento, mistura, rame e lega, tra cui si annoverano alcuni falsi d’epoca, prove e scarti di zecca, tondelli monetali e n. 1 gettone telefonico, si legge nel Verbale di ricognizione dell’8 aprile 1983 redatto dal gruppo di lavoro ministeriale incaricato di effettuare una prima ricognizione sui materiali pervenuti per verificare innanzi tutto se le monete in oro, che ad un primo sondaggio effettuato al momento della consegna alla Soprintendenza sembravano mancare totalmente, fossero custodite in un qualche pacco separato (come in effetti risultò a lavori terminati) (figg. 4-6)[67].
Figura 6 - Stralcio dal Verbale di ricognizione dell’8 aprile 1983 sulle monete di Casa Savoia prese in consegna dal Medagliere del Museo Nazionale Romano di Roma il 28 marzo 1983 (SSBAR, Medagliere, Archivio)
Tra l’8 e il 19 aprile del 1983, in poche ma intense sedute, tutto il materiale contenuto nelle due casse venne trasferito dal gruppo di lavoro in due dei 28 armadi medagliere che già accoglievano il resto della collezione, contrassegnati con i nn. 1 e 2. E alla fine di quello stesso mese era possibile informare il Governo italiano, che tanto si era adoperato per il recupero della parte ancora mancante della Collezione Reale, sulla consistenza numerica dei materiali presi in consegna e sul reperimento, in un pacco contenuto nella cassetta n. 6 del secondo baule, di ben 720 monete in oro di Casa Savoia, dalle emissioni più antiche a quelle del XIX secolo.
Un complesso di "documenti" che, oggi, grazie allo strumento informatico, si spera possa essere finalmente messo a disposizione, in tempi accettabili, non solo della ricerca ma anche di tutti coloro che guardano a queste piccole testimonianze del passato con occhio attento al loro significato storico e non esclusivamente al loro valore venale, come purtroppo molto spesso accade anche in ambienti che della scienza amano considerarsi alunni. Una necessità e un dovere ai quali l’amministrazione dello Stato non può ulteriormente sottrarsi senza arrecare danni alla scienza ed al patrimonio.
Umberto II e le medaglie di Casa Savoia
Ma torniamo ad Umberto II e alla sua collezione di medaglie. Nei lunghi mesi durante i quali si era occupato della vicenda "monete", il re aveva manifestato il desiderio che la propria collezione potesse trovare accoglienza e sistemazione nelle nuove sale del Museo Nazionale Romano accanto a quella paterna (fig. 7).
Figura 7 - U. di S., Le medaglie della Casa di Savoia, vol. I, Roma 1980
Si trattava di materiali pazientemente raccolti da Umberto di Savoia negli anni dell’esilio che, sulla base del piano di edizione redatto in occasione della pubblicazione del primo volume dedicato alle medaglie di Casa Savoia[68], possiamo ipotizzare ammontassero a parecchie migliaia di pezzi, dalle fusioni quattrocentesche alle coniazioni fatte per lo stesso Umberto o per membri dei rami collaterali di Casa Savoia, oltre ad alcuni rari modelli in cera per medaglia.
Ma in questo caso la volontà testamentaria di Umberto di Savoia, peraltro ufficialmente ratificata con decreto di accettazione della donazione pubblicato, a firma dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, sulla Gazzetta Ufficiale del 9 ottobre 1984[69], venne completamente disattesa. E della collezione di medaglie, un documento di rilevante interesse per la storia del nostro paese, non si ebbero più notizie.
Per una edizione aggiornata della Collezione Reale: cataloghi a stampa o cataloghi in rete?
Quello della pubblicazione dei cataloghi delle collezioni di monete conservate nei Musei italiani è un altro degli annosi problemi che, nonostante i ripetuti annunci e le reiterate manifestazioni di interesse, non ha mai potuto conseguire risultati sufficientemente ampi, tali da garantire una conoscenza capillare e sistematica dell’immenso patrimonio di documenti numismatici posseduti dal nostro paese.
Una sorte alla quale non è sfuggita neppure la Collezione Reale, documento insostituibile per la comprensione di realtà economiche e sociali spesso tra loro molto differenti, ma che, al tempo stesso, per essere correttamente interpretato, necessita di approfondite competenze specialistiche, stante l’ampiezza e la complessità dei materiali in essa contenuti: oltre 110 mila pezzi, non sempre di facile lettura e identificazione, che spaziano dall’epoca in cui goti, bizantini, longobardi, normanni, arabi calcarono il suolo della penisola italiana fino all’età dei comuni prima e delle signorie poi, quando, in un alternarsi di splendide serie in oro e argento, coniate a lustro degli Stati emittenti, e di povere e fruste monete divisionali, si dipana la storia del nostro paese, per approdare da ultimo alla produzione moderna, ricca di insegnamenti e di suggestioni, legata ad un passato ancora a noi abbastanza vicino.
Un lavoro estremamente delicato, quindi, quello di revisione dei materiali appartenenti alla Collezione Reale, che spesso deve fare i conti con le stesse imprecisioni e incongruenze del Corpus, della cui complessità è possibile rendersi conto esaminando, ad esempio, le problematiche emerse in occasione dello studio condotto su un lotto di monete della zecca di Ferrara dalla cattedra di Numismatica dell’Università di Bologna[70]. Imprecisioni e incongruenze dovute non solo al metodo stesso di raccolta dei dati e alle modalità di pubblicazione, ma spesso anche alla mancanza, all’epoca della pubblicazione del Corpus, di repertori esaustivi e di studi aggiornati.
Da qui la necessità di prevedere, nel nuovo progetto di edizione delle monete appartenenti alla Collezione Reale nella banca dati denominata Ivno Moneta, due distinti livelli di intervento, privilegiando da un lato la pubblicazione in formato digitale delle immagini delle monete, corredate dai soli dati amministrativi (stato giuridico, collocazione, n. di inventario) e tecnici (peso, posizione dei conî, diametro) ma al tempo stesso collegate con le corrispondenti pagine del CNI per l’individuazione dello Stato e dell’autorità emittente, della zecca e del nominale, e riservando, dall’altro, ad una edizione parallela (cartacea e/o on line) i necessari approfondimenti scientifici su lotti specifici di monete[71]. Un lavoro, quest’ultimo, lungo e difficile che darà risultati significativi solo se potrà contare su una sostanziale continuità di impegno a livello istituzionale, avvalendosi, per i diversi settori, della collaborazione dei maggiori specialisti della materia.
Mi auguro che la banca dati Ivno Moneta, messa faticosamente a punto dalla direzione del Medagliere del Museo Nazionale Romano in collaborazione con il Bollettino di Numismatica e con il supporto tecnico dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, possa in futuro assicurare la completa fruibilità dell’enorme patrimonio numismatico custodito nei nostri medaglieri, mettendolo finalmente a disposizione della ricerca e recuperando integralmente quella valenza fondamentale di documento storico che la moneta, stretta nelle spire di una speculazione sempre più rapace, va via via perdendo.
Una possibilità di studio unica che per la Collezione Reale, grazie alla Biblioteca on line del Bollettino di Numismatica, può già contare anche sulla contestuale disponibilità, in formato digitale, di tutti i volumi del Corpus, ai quali è possibile accedere sia direttamente dalla scheda della moneta sia mediante una ricerca tematica, per argomento o per lemma.
Inoltre presso il Medagliere del Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo alle Terme lo studio dei materiali viene agevolato dalla presenza di una biblioteca specialistica arricchitasi, negli ultimi anni, di parecchie migliaia di volumi grazie anche a due prestigiose acquisizioni, quella della biblioteca Santamaria, acquistata nel 1996 dall’allora Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali del Ministero per i Beni Culturali, e quella della biblioteca appartenuta a Francesco Panvini Rosati, donata dagli eredi al Medagliere del Museo Nazionale Romano nel 1999 (fig. 8).
A conclusione di questo nostro lungo excursus diamo ora la parola alle monete, affidando ad una galleria di immagini il compito di portare alla luce una parte almeno dei tesori racchiusi nei medaglieri del re, a testimonianza di una passione durata una vita e di un amore per la ricerca che travalica i limiti di ogni terrena esistenza (figg. 13 - 49).
Figura 8 - La biblioteca "F. Panvini Rosati" del Medagliere del Museo Nazionale Romano
Figura 9 - Roma, Museo Nazionale Romano, Medagliere: La sala ipogea dedicata a I metalli e la moneta
Figura 10 - Alcune vetrine della sala del lusso con corredi funerari di età romana; a sinistra, il sarcofago entro il quale fu rinvenuta la mummia della bambina di via di Grottarossa (Roma)
Figura 11 - La sala ipogea con sullo sfondo una grande mappa del mondo antico con tracciate le rotte commerciali del Mediterraneo e le strade carovaniere dirette ad Oriente
Figura 12 - La storia dell’Italia medioevale e moderna raccontata attraverso le monete della Collezione Reale in una delle sale ipogee del Museo Archeologico Nazionale di Roma, in Palazzo Massimo alle Terme
Figura 13 - Teodorico. Tremisse in oro emesso a nome di Anastasio con il busto dell’Imperatore bizantino al dritto (493-518). CNI XV, p. 9 n. 7 (var.)
Figura 14 - Atalarico. Dieci nummi in bronzo coniati a Ravenna, con busto coronato di Ravenna al dritto e monogramma della città al rovescio. CNI X, p. 650 n. 6
Figura 15 - Eraclio ed Eraclio Costantino (613-641). Solido in oro con i busti degli Imperatori al dritto, emesso dalla zecca di Costantinopoli, officina E (secondo tipo, 613-629). Cfr. CNI X, p. 668 n. 4
Figura 16 - Regno Longobardo. Astolfo (751-756). Solido in oro emesso dalla zecca di Ravenna con busto del re al dritto e croce potenziata su monogramma al rovescio. CNI X, p. 681 n. 1
Figura 17 - Ducato di Benevento. Solido in oro emesso da Liutprando nella zecca di Benevento durante la reggenza di Scauniperga (751-755) con al dritto il busto frontale del re recante gli attributi del potere. CNI XVIII, p. 141 n. 1
Figura 18 - Ludovico il Pio (814-840). Denaro in argento emesso della zecca di Milano (822-840) con il tipo della croce accantonata da 4 globetti al dritto e il tempio consacrato al rovescio. CNI V, p. 16 n. 2
Figura 19 - Stato della Chiesa. Adriano I (772-795). Denaro in argento emesso dalla zecca di Roma con il busto del pontefice al dritto. CNI XV, p. 63 n. 5
Figura 20 - Italia meridionale. Ruggero I (1072-1101). Follaro normanno in bronzo con il conte a cavallo al dritto. Cfr. CNI XVIII, p. 287 n. 12
Figura 21 - Federico II (1220-1250). Augustale in oro coniato a Messina a partire dal 1231 con busto dell’Imperatore coronato di alloro al dritto e aquila ad ali spiegate al rovescio. CNI XVIII, p. 196 n. 2
Figura 22 - Federico II (1220-1250). Augustale in oro con busto dell’Imperatore al dritto (emissione postuma?). CNI XVIII, p. 196 n. 1
Figura 23 - Trieste. Givardo, vescovo (1209-1212). Grosso in argento a tondello scodellato con al rovescio edificio a due torri sormontato da cupola. CNI VI, p. 239 n. 8
Figura 24 - Bergamo. Comune. Grosso in argento da sei denari con veduta della città al rovescio (metà sec. XIII). CNI IV, p. 45 n. 138
Figura 25 - Repubblica di Venezia. Giovanni Dandolo doge (1280-1289). Ducato in oro emesso a partire dal 1285 con al dritto San Marco che porge il vessillo al Doge inginocchiato. CNI VII, p. 47 n. 2
Figura 26 - Milano, Prima Repubblica, 1250-1310 (o Enrico VII di Lussemburgo, 1310-1313). Ambrosino in oro con Sant’Ambrogio benedicente al rovescio. CNI V, p. 56 n. 1
Figura 27 - Lucca, Comune. Fiorino in oro degli inizi del sec. XIV con San Martino a cavallo al rovescio. CNI XI, p. 77 n. 4
Figura 28 - Carlo I d’Angiò, re di Sicilia (1266-1285). Carlino o Saluto in oro emesso dalla zecca di Napoli a partire dal 1278, con l’Annunciazione al rovescio. Cfr. CNI XIX, p. 13 n. 1
Figura 29 - Milano, Carlo V (1519-1556). Doppio scudo in oro con al dritto il ritratto dell’Imperatore. Modelli di Leone Leoni. CNI V, p. 231 n. 14
Figura 30 - Ferrara. Ercole I d’Este duca (1471-1505). Quarto di ducato in argento con al rovescio cavaliere in nudità eroica avanzante verso destra. CNI X, p. 436 n. 23; PANVINI 1961, p. 40 n. 205; RAVEGNANI I, p. 131 n. 6
Figura 31 - Savoia. Filiberto II (1497-1504). Tallero in argento con il busto del duca con berretta al dritto e quello della duchessa Iolanda con collare dell’Annunziata al rovescio. CNI I, p. 135 n. 1
Figura 32 - Casale. Guglielmo II Paleologo marchese di Monferrato (1494-1518). Ducati quattro in oro con il tipo del cervo accovacciato al rovescio. CNI II, p. 103 n. 2; PANVINI 1961, p. 23 n. 27; RAVEGNANI III, p. 35 n. 1
Figura 33 - Mantova. Francesco II Gonzaga (1484-1519). Doppio ducato in oro con il busto corazzato del marchese al dritto. CNI IV, p. 235 n. 1; PANVINI 1961, p. 28 n. 73; RAVEGNANI II, p. 10 n. 1; BERNAREGGI 1954, p. 139 n. 50 e p. 76 e ss.
Figura 34 - Firenze. Ferdinando I de’ Medici (1587-1609), granduca di Toscana e cardinale (primo periodo, 1587-1588). Piastra d’oro del 1587 con il tipo dell’ape regina al rovescio. CNI XII, p. 302 n.1; RAVEGNANI II, p. 344 n. 1
Figura 35 - Firenze. Ferdinando I de’ Medici (1587-1609). Lira in argento del 1600 con Giovanni Battista decollato al rovescio. CNI XII, p. 324 n. 181; RAVEGNANI II, p. 353 n. 21
Figura 36 - Firenze. Cosimo III de’ Medici granduca di Toscana (1670-1723). Piastra in argento del 1676 con il battesimo di Gesù al rovescio. CNI XII, p. 388 n. 9; RAVEGNANI II, p. 383 n. 2
Figura 37 - Stato Pontificio. Alessandro VII (1655-1667). Quadrupla in oro con il cassone del Tesoro aperto al rovescio. CNI XVI, p. 401 n. 2; MUNTONI II, p. 223 n. 1
Figura 38 - Stato Pontificio. Clemente X (1670-1676). Piastra in argento con al rovescio la Porta Santa aperta (anno iubilei 1675). CNI XVI, p. 420 n. 20; MUNTONI II, p. 244 n. 17
Figura 39 - Stato Pontificio. Innocenzo XI (1676-1689). Piastra in argento con al rovescio la facciata della basilica di San Pietro, opera di G. Hamerani (anno II, 1677-1678). CNI XVI, p. 432 n. 17; MUNTONI III, p. 9 n. 38
Figura 40 - Stato Pontificio. Innocenzo XII (1691-1700). Quadrupla in oro del 1694, anno IV di pontificato, con al rovescio la fontana di Santa Maria in Trastevere a Roma. CNI XVI, p. 486 n. 52; MUNTONI III, p. 49 n. 1
Figura 41 - Stato Pontificio. Clemente XI (1700-1721). Piastra in argento dell’anno VI di pontificato (1705-1706) con San Pietro al timone sulla navicella al rovescio. CNI XVII, p. 13 n. 76
Figura 42 - Stato Pontificio. Clemente XI (1700-1721). Piastra in argento dell’anno XIII di pontificato (1712-1713) con al rovescio veduta della piazza del Pantheon a Roma, opera di E. Hamerani. CNI XVII, p. 29 n. 174
Figura 43 - Milano. Repubblica Cisalpina (1797-1802). Lire sei in argento con al dritto la personificazione della Repubblica Cisalpina che rende omaggio alla Francia, opera di G. Salvirch. CNI V, p. 415 n. 1
Figura 44 - Ducato di Parma e Piacenza. Maria Luigia (1815-1847). Lire 40 in oro del 1815 coniate nella zecca di Milano, con busto della duchessa al dritto. CNI IX, p. 553 n. 1
Figura 45 - Regno delle Due Sicilie. Ferdinando I (terzo periodo, 1815-1825). Ducati trenta in oro del 1818, coniati nella zecca di Napoli, con al rovescio il Genio dei Borbone. CNI XX, p. 632 n. 39
Figura 46 - Governo Provvisorio della Toscana. Ruspone in oro del 1859 con al dritto il giglio di Firenze, coniato nella zecca di Firenze su modelli di Luigi Gori. CNI XII, p. 478 n. 1
Figura 47 - Governo Provvisorio della Toscana. Fiorino in argento del 1859 con al dritto un leone passante (il marzocco di Firenze) che stringe il tricolore, coniato nella zecca di Firenze su modelli di Luigi Gori. CNI XII, p. 478 n. 3
Figura 48 - Regno d’Italia. Vittorio Emanuele III. Prova della moneta da 100 lire in oro, realizzata nel 1907 presso gli Stabilimenti S. Johnson di Milano su modelli di Egidio Boninsegna, con busto del re al dritto, in divisa militare, e l’Italia agricola al rovescio. CNI I, p. 497 n. 24
Figura 49 - Regno d’Italia. Vittorio Emanuele III. Centesimi 5 in bronzo del 1908 coniati nella zecca di Roma dall’incisore capo L. Giorgi su modelli di P. Canonica. Cfr. CNI I, p. 491 n. 37 (ma descrizione con attribuzione errata)
Note