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I disegni Hamerani nell'Archivio del Medagliere Vaticano

di Giancarlo Alteri

Il capostipite degli Hamerani fu Johann Hermannskircher (1585 ca.-1644), un bavarese di Monaco, costretto ad emigrare a Roma ai primi del XVII secolo, in seguito a guai giudiziari nella sua patria. Nella Città Eterna, egli si specializzò nella fattura di caratteri e lastre tipografici, si sposò due volte ed i suoi figli seguirono la professione paterna.
Ma il primo vero incisore di conii della famiglia fu Alberto (1620-1677), figlio di Johann e nato a Roma, che si specializzò nell’arte incisoria e lavorò pure alla zecca dei signori di Massa e forse anche in quella romana negli ultimi anni di papa Alessandro VII.
Artigiano abilissimo, Alberto, che intanto aveva italianizzato il proprio cognome in Hamerani, si diede alla professione privata di coniatore di medaglie, visto il buon mercato che tali oggetti avevano all’epoca. Egli si appoggiava all’officina “All’Insegna della Lupa” in via dei Coronari, di proprietà di Cristoforo Marchionni, che era lo stabilimento specializzato per la fattura e coniazione di medaglie più famoso e più importante di Roma. E fu proprio in via dei Coronari, che il figlio di Alberto Hamerani, Johann Martin (1646-1705), s’innamorò della figlia del proprietario dell’officina nummaria, Brigida Marchionni e la sposò. Da quel momento ebbe inizio la folgorante carriera ufficiale degli Hamerani.
Nell’autunno del 1676 il papa neoeletto Innocenzo XI Odescalchi nominò Giovanni Martino Hamerani (ormai si faceva chiamare con il nome italiano) Incisore Camerale, in concorso con il suocero Cristoforo Marchionni ed in sostituzione del “vecchio” incisore camerale Girolamo Lucenti. Giovanni Martino Hamerani era molto bravo nell’incisione metallica e le sue medaglie, nonché le sue monete, sono tra le più belle dell’ultimo scorcio del XVII secolo. Il suo matrimonio fu allietato da numerosa prole, ed alcuni suoi figli si diedero a seguire le orme del padre.
Così Beatrice (1677-1704), morta in età giovane, fu la prima donna a realizzare una medaglia ufficiale pontificia e fu costretta a ciò per sovvenire alle necessità del padre il quale, colpito da ictus cerebrale, si trovava nell’impossibilità di lavorare.
Ma furono i due figli maschi di Giovanni Martino, Ermenegildo ed Ottone, a “lanciare” la famiglia nelle più alte vette dell’arte medaglistica e a fare dell’officina “Della Lupa” lo stabilimento medaglistico più celebre d’Europa, tappa obbligata nel gran tour di qualsiasi persona colta che venisse a Roma, nonché quasi monopolista nella fattura di medaglie.
Ermenegildo Hamerani (1683-1756), che aveva avuto importanti esperienze artistiche giovanili, prese il posto del padre, che già aveva aiutato durante il periodo della malattia, ed eccelse specialmente nella fattura delle monete di Clemente XI Albani, soprattutto delle piastre d’argento d’insuperata bellezza; ma anche la medaglistica del primo trentennio del ‘700 fu quasi tutta di sua mano. E sempre alla sua mano si deve il primo disegno della raccolta di bozzetti del Medagliere Vaticano. Uomo colto e raffinato, Ermenegildo ad un certo punto della sua vita, lasciò il lavoro attivo dell’incisione di conii tutto nelle mani del fratello Ottone, e cominciò ad occuparsi esclusivamente delle pubbliche relazioni per conto della “Società per fare medaglie” che i fratelli Hamerani avevano fondato e gestivano anche con l’appoggio di personaggi dell’intellighentia romana ed europea; la frequentazione, per esempio, con l’antiquario ed avventuriero tedesco-polacco Philipp von Stosch portò alla vendita, da parte di quest’ultimo, ai fratelli Hamerani di numerosi conii di medaglie papali risalenti al XVI e XVII secolo, che gli Hamerani restaurarono ed utilizzarono per le proprie riconiazioni.
Il fratello, Ottone Hamerani (1694-1761), fu semplicemente un abile artigiano del conio, senza giungere alle vette artistiche toccate dagli avi e, in parte, dal fratello Ermenegildo. Inoltre Ottone, già gravato da difficoltà economiche derivate dalla riforma della zecca pontificia (che portò ad una riduzione dei suoi introiti) mise al mondo pure ben sette figlie femmine ed un unico maschio. Riuscì tuttavia a far sposare costui, di nome Ferdinando, con la figlia dell’architetto Fuga, Antonina, ma ciò non migliorò la situazione patrimoniale di Ferdinando; anzi, questi fu sostituito, tra il 1770 ed il 1771, nell’incarico di incisore camerale, oramai ridotto a poco più di una semplice carica onorifica, da un’altra persona, probabilmente un suo allievo, di nome Filippo Cropanese.
Riassunto nella pubblica amministrazione con la stessa carica da Pio VI appena eletto, nel febbraio del 1775, Ferdinando Hamerani (1730-1789) fu, per motivi economici, costretto perfino ad abbandonare l’avita casa-officina di via dei Coronari e tentò di vendere la numerosa collezione di famiglia comprendente i conii di medaglie sia pontificie sia di devozione. La trattativa per la vendita alla Reverenda Camera Apostolica di questa collezione di conii sfociò perfino in lite giudiziaria e si concluderà oltre 30 anni dopo l’avvio della trattativa stessa.
A Ferdinando Hamerani successe, nel 1789, il figlio primogenito Gioacchino (1761-1797), ragazzo malaticcio nel fisico e di scarsa abilità manuale a cui, nel 1796, venne affiancato, come incisore camerale, l’artista romano Tommaso Mercandetti (1758-1821).
Soltanto dopo la prima Restaurazione, cioè nei primi mesi del 1800, il fratello di Gioacchino, cioè Giovanni Hamerani (1763-1846) ebbe l’incarico, ma non fisso, che era stato appannaggio dei suoi familiari per anni, dal momento che il Mercandetti si era compromesso con la Repubblica Romana imposta dai Francesi. Tuttavia, la bufera napoleonica nel 1808 e l’annessione di Roma all’Impero francese tolse l’impiego all’ultimo degli Hamerani, Giovanni, del resto già malato. Affetto ormai da gravi problemi di salute, si trasferì a Genzano di Roma, dove l’aria era più salubre. Tornò a Roma nel 1846 per essere assistito dall’unica figlia che si era sposata l’anno precedente, e vi morì nello stesso 1846, sotto il pontificato di Pio IX: erano trascorsi esattamente 170 anni da quando Giovanni Martino aveva varcato per la prima volta la soglia della zecca di Roma, come incisore camerale!
Il sacerdote romano Luigi Pizzamiglio (1813-1877) aveva una particolare passione per la medaglistica e trascorse gran parte della sua vita a raccogliere libri e documenti su questa disciplina. Lo interessava in modo particolare la medaglistica pontificia, tanto che alla sua morte lasciò una collezione, confluita dopo il 1880 nel Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana, di oltre 4500 medaglie papali, per la maggior parte riconii Mazio, quasi 600 calchi in gesso sempre di medaglie papali, alcuni conii e soprattutto una notevole raccolta di bozzetti di medaglie e di monete realizzati dagli Hamerani.
I bozzetti degli Hamerani sono oltre 100, contenuti in 108 fogli, e formano un album rilegato che, una volta entrato nella Biblioteca Vaticana, fu contraddistinto dalla segnatura Vat. Lat. 15232. Non sappiamo né quando né come il Pizzamiglio sia riuscito ad avere in suo possesso i bozzetti degli Hamerani, né tanto meno sappiamo se li abbia acquistati un po’ per volta oppure tutti insieme, già rilegati come si presentano attualmente. L’album si divide in due parti: a) Disegni di medaglie pontificie, alcuni dei quali non eseguiti (ff. 2r-94r); b) disegni eseguiti in monete pontificie (ff. 95r-108r). Nella prima parte sono raccolti i bozzetti eseguiti per la realizzazione di alcune medaglie dei pontefici da Clemente XI a Pio VII, quindi bozzetti, che abbracciano il XVIII secolo e gli inizi del successivo. Si tratta, per il 90% dei casi, di bozzetti per medaglie annuali. Ma sono presenti pure alcuni disegni per le medaglie del Possesso, per quelle della Lavanda, come anche qualche disegno per medaglie straordinarie. Completano questa prima parte pochi bozzetti di busti di alcuni Papi, probabilmente studi dei dritti per varie medaglie annuali.
Nella maggior parte dei casi abbiamo un solo bozzetto per ogni medaglia, e quasi sempre si tratta di quello definitivo, come testimonia la medaglia stessa, anche se talvolta quest’ultima può mostrare qualche piccola variazione rispetto ad esso, variazione apportata all’ultimo momento, prima della coniazione.
Ciò vale, per esempio, già per il primo bozzetto dell’album (fig. 1), relativo alla medaglia annuale dell’anno IV di pontificato, il 1704, di Clemente XI, che rappresenta l’interno dell’Aula Clementina fatta costruire dal papa nell’Ospizio Apostolico del San Michele, a Roma, e destinata ad accogliere i giovani orfani, abbandonati, magari dalla vita non proprio cristallina, che lì scontavano l’eventuale pena e nel contempo imparavano un mestiere.

Figura 1 – f. 4r

Figura 1 – f. 4r

Il bozzetto non si differenzia sostanzialmente dalla medaglia effettivamente emessa, ma pone ugualmente un problema. Sotto il disegno vi è la seguente annotazione, scritta a penna:

Ill.mo e R.mo Sig.Monsig(nor) Corsini Tesoriere G(e)n(er)ale di N(ostro) S(ignore)
Dovendosi rappresentare nella medaglia da farsi la parte interiore della Casa di Correttione più al vero che si / puote, siccome trà le parti principale, è il dimostrar quei fanciulli; Sarà bene, che l’incisore prima di venire / all’atto di cuniare la med(agli)a S’abocchi col Cavalier Fontana per / intendersi assieme del modo, e la presente delineare. / [il bozzetto] dimostra il vacuo ed il seguente la situazione, che di presente di d(ett)i fanciulli li 22 febraio 1704.

Da riscontri con documenti d’archivio, la calligrafia sembra essere quella di Ermenegildo Hamerani, figlio di Giovanni Martino, cui è attribuita ufficialmente questa medaglia. In realtà due anni prima, nel 1702, Giovanni Martino era stato colto da un ictus, che ne aveva menomato le facoltà, tanto che la medaglia annuale di quello stesso 1702, II anno di pontificato, emessa per celebrare la missione in Cina del patriarca d’Antiochia Carlo Tommaso Maillard de Tournon, era stata coniata dai suoi figli che già da qualche tempo collaboravano con lui: Beatrice prima, che ne aveva inciso i conii per una piccola quantità destinata al papa, ed Ermenegildo, che aveva adoperato, apportandovi solo impercettibili modifiche, il conio della sorella per l’emissione di tutti gli altri esemplari richiesti dalla Reverenda Camera Apostolica. Giovanni Hamerani non si era ripreso dalla malattia se pure la medaglia annuale dell’anno terzo di pontificato, il 1703, dedicata al nuovo acquedotto di Civitavecchia, era stata affidata dalla Reverenda Camera Apostolica al suo vice, il lorenese Ferdinand de Saint-Urbain. Sembra, quindi, assai improbabile che Giovanni Hamerani possa essersi rimesso subito dopo, in modo da essere in grado di incidere materialmente questa medaglia annuale dell’anno IV, firmata semplicemente “HAMERANVS”; tanto più che egli morirà il 28 giugno 1705, proprio alla vigilia della distribuzione della medaglia annuale dell’anno V di pontificato, firmata da suo figlio Ermenegildo, che nel frattempo aveva ricevuto la carica di incisore camerale pro tempore, proprio in considerazione delle gravi condizioni di salute di suo padre. Per cui si può presumere con una certa sicurezza che sia il bozzetto sia il conio effettivo di questa medaglia dell’anno IV siano stati incisi da Ermenegildo proprio in conseguenza della “paterna infermità”.
Anche l’ultimo foglio della parte dell’album dedicata alle medaglie (fig. 2) contiene il bozzetto praticamente definitivo (e che fosse definitivo lo conferma la presenza del reticolato, necessario per la sua trasposizione sul metallo), della medaglia annuale dell’anno VI di pontificato, il 1805, di Pio VII, raffigurante Ponte Milvio ed incisa da Giovanni Hamerani, il terzo della celebre famiglia, a cominciare dal capostipite Johann Hermannskircher, con questo nome. Costui, in realtà, aveva studiato da architetto, ma era stato chiamato dall’allora Direttore della zecca di Roma, Francesco Mazio, ad incidere conii di medaglie fin dall’anno 1800, quando era salito sul Trono di Pietro Pio VII. Pertanto, Giovanni, che, come accennato sopra, sarebbe stato l’ultimo rappresentante degli Hamerani a dedicarsi all’incisione di medaglie e monete, aveva dalla sua soltanto la tradizione di famiglia, ma ben poca esperienza nel maneggiare il bulino. Eppure, si adattò a farlo, un po’ per necessità economiche un po’ perché in quel momento non c’era nessun altro incisore valido sulla piazza romana.

Figura 2 – f. 94r

Figura 2 – f. 94r

La medaglia suddetta si riferisce al ritorno a Roma di Pio VII da Parigi. Il 2 novembre 1804, Pio VII aveva lasciato Roma per recarsi nella capitale francese dove, il 2 dicembre, con una solenne cerimonia nella cattedrale di Notre-Dame, aveva incoronato Napoleone Imperatore. Partito, quindi, da Parigi il 4 aprile 1805, il papa aveva fatto ritorno a Roma il 16 maggio. Proprio per solennizzare il ritorno del pontefice, il cardinale Consalvi, preposto al governo di Roma in assenza di Pio VII, aveva dato incarico all’architetto Giuseppe Valadier di restaurare Ponte Milvio, che allora rappresentava l’ingresso in città per chi proveniva dal nord, e attraverso il quale, quindi, sarebbe passato il papa al suo ritorno. Tale medaglia, pertanto, doveva celebrare sia il ritorno a Roma del pontefice sia i restauri del celebre ponte. Sebbene, come abbiamo detto sopra, Giovanni non fosse molto esperto nell’arte del conio, a proposito di questa medaglia, sul Diario Ordinario n. 53 del 3 luglio 1805 si legge: “… l’opera è del celebre giovane incisore sign. Giovanni Hamerani abbastanza noto per i rari talenti e per la sottilizza dell’ingegno”.

Talvolta, oltre al bozzetto definitivo, completo in tutte le sue parti, l’album conserva anche, disegnati o sullo stesso foglio o su altri, dei particolari dell’impianto della raffigurazione, magari ingranditi, probabilmente per essere incisi con maggior precisione.
E’ il caso, per esempio, del bozzetto della grande medaglia straordinaria, di 72 millimetri di diametro, realizzata da Ottone Hamerani per ricordare l’inizio dei lavori della Cappella Corsini, nella basilica di San Giovanni in Laterano, voluta nel 1733 da papa Clemente XII per la sua famiglia. Orbene, accanto al bozzetto completo in tutte le sue parti (fig. 3), che mostra lo spaccato architettonico della Cappella Corsini, eretta, appunto, nella basilica Lateranense dall’architetto Alessandro Galilei, lo stesso professionista incaricato di costruire anche la facciata di questa basilica, vi sono pure due schizzi (fig. 4), che ci offrono due particolari della Cappella. Uno è lo schizzo per il sepolcro di papa Clemente XII, disegnato sempre dal Galilei e realizzato da Giovanni Battista Maini. Considerato tra i più bei monumenti funebri del ‘700 romano, presenta, al centro, il papa benedicente, con triregno e piviale; ai lati, le statue dell’Abbondanza e della Magnificenza scolpite da Carlo Monadi. L’altro è lo schizzo del sepolcro del cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII, che nella realtà come nella medaglia sta di fronte a quello del papa, sulla parete opposta della Cappella. Opera anche questa del Maini, ai lati della statua che rappresenta il prelato, mostra quella della Religione ed un putto, che regge il pastorale. Sicuramente Ottone Hamerani, per realizzare questo medaglione, dovette servirsi dei piani architettonici e dei disegni fatti dagli stessi artisti, che poi realizzarono la Cappella e le sue decorazioni.

Figura 3 – f. 24r

Figura 3 – f. 24r

Figura 4 – f. 23r

Figura 4 – f. 23r

Questo medaglione fa parte di una serie di tre medaglie di inusitata grandezza con lo stesso dritto, che raffigura Clemente XII a mezzo busto, benedicente con il triregno ed il piviale riccamente decorato con lo stemma Corsini e con la figura di Sant’Andrea Corsini, appartenente alla stessa famiglia del papa e suo avo diretto, elevato agli onori degli altari nel 1629 da Urbano VIII. I rovesci degli altri due medaglioni raffigurano rispettivamente la facciata di San Giovanni in Laterano ed il Lazzaretto di Ancona.
Anche in questo caso abbiamo un problema, che il bozzetto non ci aiuta a risolvere. I tre medaglioni sono, come abbiamo detto sopra, molto grandi, avendo oltre 71 millimetri di diametro, tanto che gli Hamerani per coniarli dovettero acquistare in Germania un apposito torchio e lo installarono, con grande difficoltà, nella propria officina della “Lupa”, in via dei Coronari. Torchio che, tuttavia, arrivò a destinazione soltanto nel 1735, mentre i tre medaglioni hanno, all’esergo, la data 1733. Il problema dovrebbe essere risolto in questo modo: nel 1733 cominciarono i lavori per la costruzione della cappella e, probabilmente, Ottone poté vedere i progetti ed iniziare, quindi, anch’egli a modellare i medaglioni che poi vennero effettivamente coniati appunto nel 1735.

Per alcune medaglie, l’album conserva due o più disegni dello stesso tema; in questi casi più fortunati possiamo seguire in tutto o almeno in parte l’evoluzione del soggetto della medaglia.

E’ il caso, per esempio, dei bozzetti per la medaglia annuale dell’anno XVI di pontificato, il 1716, di Clemente XI Albani (figg. 5 e 6). Il papa stava facendo pressioni sulle varie potenze europee onde allestissero una grande flotta alleata, che potesse attaccare direttamente i domini turchi; infatti la minaccia ottomana sull’Europa si era fatta insopportabile e pericolosa. L’incisore Ermenegildo Hamerani disegnò un primo bozzetto: papa San Pio V inginocchiato di fronte al crocifisso e, sullo sfondo, un’imponente flotta schierata a battaglia: chiarissimo il riferimento alla vittoria navale di Lepanto del 1571, che aveva spezzato l’avanzata turca (fig. 5).

Figura 5 – f. 7r

Figura 5 – f. 7r

Ma questo disegno presentava notevoli difficoltà ad esser riprodotto sul metallo in un diametro di meno di 40 millimetri. Così l’Hamerani lo cambiò, modificando alcuni particolari e riducendo il numero delle navi, rendendole però leggermente più grandi per rispettare la prospettiva. Ma questo soggetto, così realizzato, non ottenne il beneplacito delle autorità e, per tal motivo, l’Hamerani ne ideò un altro. Pose, stavolta, come figura centrale la Beata Vergine con il Bambino in braccio in atto di consegnare un rosario ad alcuni fedeli prostrati davanti a Lei; sullo sfondo, lasciò i vascelli da battaglia in navigazione (fig. 6).

Figura 6 – f. 8r

Figura 6 – f. 8r

Questa raffigurazione era ricca di riferimenti: una volta allestita la flotta, infatti, Clemente XI aveva inviato uno stendardo, da lui stesso benedetto, rappresentante la Madre di Dio sotto la cui protezione aveva posto l’impresa; inoltre la festa della Madonna del Rosario era stata istituita proprio per celebrare la famosa vittoria di Lepanto. I fedeli inginocchiati probabilmente rappresentavano i milioni di europei ancora sotto il giogo turco. Comunque, la grande flotta, riunitasi a Cadice, fu utilizzata dal Primo Ministro spagnolo, il cardinale Giulio Alberoni, per invadere la Sardegna, che era un possedimento austriaco. Soltanto pochi giorni dopo l’emissione della medaglia, la Lega Cristiana, al comando del principe Eugenio di Sassonia, ottenne una strepitosa vittoria a Petrovaradin che spianò la strada alla liberazione dei Balcani: era il 5 agosto 1716, giorno della Madonna della Neve!
Il f. 11r (fig. 7) mostra due bozzetti per il rovescio della medaglia che Ottone o Ermenegildo Hamerani realizzarono nel 1721 per l’elezione di Innocenzo XIII. I dritti, che furono accoppiati a questo rovescio, in realtà sono due: uno mostra il pontefice di profilo a destra, l’altro quasi di prospetto. Secondo il Venuti, la medaglia sarebbe stata incisa da Ottone; ma ciò non si può stabilire con certezza, dal momento che nei documenti di pagamento i due fratelli sono citati insieme. Anzi, il dritto con il pontefice quasi di prospetto farebbe pensare più alla mano di Ermenegildo, per il fatto che sembra derivare da un quadro di Pietro Leone Ghezzi, intimo amico, appunto, di Ermenegildo, quadro che presenta il pontefice nello stesso atteggiamento.
Per quanto riguarda il rovescio, dei due bozzetti alla fine venne scelto il secondo, sebbene pure quest’ultimo mostri delle varianti più o meno significative rispetto alla medaglia effettivamente realizzata. Lo scudo sulla medaglia, per esempio, è raffigurato in modo diverso da quello sul bozzetto; la croce astata, che sul disegno si regge poggiata tra la spalla della personificazione della Chiesa e l’edificio sacro, nella medaglia è sorretta da un angioletto seduto sulle nubi.

Figura 7 – f. 11 r

Figura 7 – f. 11 r

I ff. 40r e 41r presentano i bozzetti della medaglia annuale del 1747 di Benedetto XIV, realizzata da Ottone Hamerani per celebrare il viaggio del pontefice a Civitavecchia.
Quando Benedetto XIV decise di recarsi a Civitavecchia per rendersi conto di persona delle locali necessità, il suo maggiordomo, Mons. Colonna, pensò di organizzare il corteo in modo che il papa entrasse nella città su una specie di cocchio trionfale, trainato da quattro cavalli bianchi, come un imperatore romano. In base a queste indicazioni, probabilmente Ottone Hamerani realizzò il primo bozzetto (fig. 8) della medaglia.

Figura 8 – f. 40r

Figura 8 – f. 40r

Ma Benedetto XIV sicuramente fece notare al suo maggiordomo che sarebbe stato quantomeno esagerato che un pontefice entrasse in città appunto come un imperatore in trionfo (in realtà, il papa, di carattere molto tranquillo e alquanto schivo, temeva che quattro focosi destrieri gli avrebbero potuto provocare un qualche incidente!). Per questo motivo, fu allestita una più comoda e consona portantina, trainata da due pacifiche mule. Di conseguenza, Ottone dovette scartare questo bozzetto ed eseguirne un altro (fig. 9), più aderente alla volontà del pontefice.

Figura 9 – f. 41r

Figura 9 – f. 41r

La medaglia alla fine realizzata, a parte l’aggiunta del paesaggio marino e l’esclusione, per ragioni di spazio, dell’indicazione dell’anno in esergo, riprende abbastanza fedelmente il disegno e rende molto bene le movenze del corteo pontificio mentre si avvicina alla cittadina.
Altrettanto importanti sono i due bozzetti conservati nell’album nei ff. 59r e 60r (figg. 10 e 11) , relativi alla medaglia annuale del II anno di pontificato, il 1760, di Clemente XIII, l’ultima annuale realizzata da Ottone Hamerani, che morirà nel marzo 1761, e dedicata alla costruzione dei nuovi Granai nella zona di Termini a Roma. I due bozzetti non mostrano sostanziali differenze per quanto riguarda la rappresentazione degli edifici. Anzi, l’incisore preferì mettere in primo piano il vecchio Granaio di forme “barocche”, costruito da Urbano VIII oltre un secolo prima, ed in secondo piano il recentissimo edificio costruito dall’architetto camerale G. Navone, ma ritenuto decisamente brutto a vedersi. Invece, notevoli sono le differenze per quel che riguarda il gruppo di persone antistante agli edifici stessi. Nel primo bozzetto c’è un mendicante seduto in terra ed una famigliola che porta delle provviste dopo averle caricate su un asinello. Nel bozzetto definitivo, riprodotto esattamente sulla medaglia, il mendicante seduto è stato sostituito da una figura maschile, che sta reggendo un sacco pieno di granaglie, e da un bambino, che sorregge con le mani altre provviste. E’ stato tolto anche l’asinello, la cui presenza sarà sembrata esagerata per trasportare un po’ di pane e di farina ricevuti in elemosina. Invece la figura, che nel primo disegno stava caricando l’asinello, ora sta appoggiata ad un sacco ricolmo e sembra dare un’indicazione ad una donna, che insieme ai suoi figli ha ricevuto delle provviste. Ancor più travagliata è stata l’elaborazione della leggenda: “PROVIDENTIA OPTIMI PRINCIPIS” nel primo bozzetto, diventa “COMMODITATI PLEBIS” nel secondo, per essere cambiata infine, intervenendo direttamente sul conio, con “UT COMEDANT PAVPERES POPVLI”, forse su suggerimento dello stesso pontefice.

Figura 10 – f. 59r

Figura 10 – f. 59r

Figura 11 – f. 60r

Figura 11 – f. 60r

L’album comprende pure bozzetti che non sono stati tradotti in medaglie, poiché i soggetti di queste ultime sono stati ad un certo punto cambiati.
Un esempio ce lo offrono i ff. 37r, 37v e 38r che contengono due studi preparatori (figg. 12 e 13) e il bozzetto definitivo (fig. 14) di una medaglia mai realizzata.
Sia la leggenda (SAPIENTIAM EIVS ENARRABVNT GENTES) sia la raffigurazione (la personificazione della Chiesa seduta in trono che scrive su un libro sorretto da un puttino) sul bozzetto definitivo avrebbero dovuto esaltare probabilmente la saggezza del pontefice nel governare la Chiesa.
Se si trattasse di una medaglia annuale, la data riportata in esergo, il 1746, collocherebbe questi bozzetti tra il VI ed il VII anno di pontificato di Benedetto XIV, cioè tra il 1746 ed il 1747, e potrebbero essere stati un primo progetto per l’annuale dell’anno VI.

Figura 12 – f. 37r

Figura 12 – f. 37r

Figura 13 – f. 37v

Figura 13 – f. 37v

Figura 14 – f. 38r

Figura 14 – f. 38r

Tale progetto fu sostituito, però, all’ultimo momento con il bozzetto del f. 39r (fig. 15), tradotto questa volta finalmente nell’annuale dell’anno VI, emessa per celebrare la canonizzazione di cinque nuovi Santi: il frate cappuccino Camillo de Lellis, il missionario cappuccino Giuseppe da Leonessa, il martire dei Minori cappuccini il Fedele di Sigmaringen (Sigmaringa), la suora domenicana Caterina de Ricci e il francescano Pedro Regalado. In effetti, questi Santi furono elevati agli onori degli altari proprio il 29 giugno 1746, giorno della festa dei SS. Pietro e Paolo, ma anche giorno ufficiale dell’emissione della medaglia annuale.
La medaglia rispetta praticamente il bozzetto. Una nota a parte riguarda la leggenda dell’esergo. Prevista in un primo momento soltanto la data in numeri romani MDCCXLVI, come ci mostra la medaglia del bozzetto, già sullo stesso bozzetto fu cambiata con la frase: BEATI IN SANCTORUM ALBUM COOPTATI III KAL IUL AN SAL / MDCCXLVI e riportata infine abbreviata sulla medaglia, probabilmente per mancanza di spazio, in III KAL IUL AN SAL MDCCXLVI.

Figura 15 – f. 39r

Figura 15 – f. 39r

Ma i tre bozzetti dei ff. 37r, 37v e 38r potrebbero essere stati disegnati non per un’annuale, bensì per una medaglia straordinaria, che doveva essere emessa per celebrare un fatto significativo, accaduto durante il 1746, medaglia che poi, per motivi a noi ignoti, non sarebbe stata coniata. In questo caso, visto il soggetto del disegno, potremmo pensare, per esempio, all’emanazione della bolla ” Iustitiae et pacis”, resa pubblica il 9 ottobre 1746, con la quale Benedetto XIV riformava i dicasteri amministrativi della Chiesa.
Anche il f. 36r (fig. 16) presenta il bozzetto definitivo di una medaglia; la data MDCCXLV, indicata all’esergo, ci induce a credere che doveva essere l’annuale dell’anno V di pontificato di Benedetto XIV. Il disegno mostra tre figure femminili: al centro, la Chiesa velata che sorregge, con la destra, il modello di una chiesa e, con la sinistra, una grande croce; a destra della Chiesa, abbiamo l’Abbondanza, individuata dalla cornucopia e, a sinistra, probabilmente la Verità, individuata da un libro. Intorno, in alto, scorre la leggenda: PRIMVM QVAEVIS SIBI POSCIT HONOREM.

Figura 16 – f. 36r

Figura 16 – f. 36r

Ma questo disegno, riferito non sappiamo a quale avvenimento (probabilmente alle riforme politico-ecclesiastiche portate avanti in quegli anni), non fu tradotto in medaglia per un motivo a noi ugualmente sconosciuto, e per l’annuale dell’anno V di pontificato Ottone Hamerani preparò allora il bozzetto, di cui il f. 35r (fig. 17) ci mostra l’edizione finale, destinato a celebrare le benemerenze di Benedetto XIV in campo artistico, soprattutto con l’arricchimento dei Musei Capitolini per mezzo dell’acquisto di statue e di quadri appartenenti alle più importanti collezioni del genere esistenti in quel periodo a Roma, tra cui quella, celebre, del cardinale Alessandro Albani.
La medaglia coniata rispecchia fedelmente questo secondo bozzetto, fatta eccezione per la leggenda dell’esergo che, per ragioni di spazio, è riportata su tre righe, mentre nel bozzetto è su due.

Figura 17 – f. 35r

Figura 17 – f. 35r

Si trovano, infine, nell’album pure alcuni bozzetti di medaglie che poi, per un motivo o per un altro, non furono realizzate né sostituite da altre di soggetto diverso.
Tra questi bozzetti possiamo citare quelli disegnati per la medaglia annuale dell’anno XVIII di pontificato, il 1758, di Benedetto XIV (figg. 18 e 19), medaglia che non fu mai emessa, in questo caso, per la sopravvenuta morte del pontefice. La medaglia doveva alludere ...all’introduzione nuova e facilitazione nel commercio tra lo Stato ecclesiastico e quelli della Regina d’Ungheria al di là del Fiume Po’ col motto VECTIGALIA IMMINUTA..., in un documento dell’Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e Belle Arti, busta 4.
Ottone Hamerani preparò, entro il marzo del 1758, un bozzetto raffigurato sul f. 54r (fig. 18): due figure femminili, personificanti rispettivamente lo Stato della Chiesa, a sinistra, e l’Impero con l’elmo in testa, a destra, si stringono la mano; accanto alla “Chiesa” un puttino, che regge uno scudo con le chiavi decussate; accanto all’Impero, la figura semisdraiata di un vecchio, con la testa di un animale non bene identificato, seduto fra alcune canne mentre regge un timone, a simboleggiare il Po, il cui corso segnava il confine fra i due Stati; sullo sfondo, l’Adriatico solcato da navi.
Ma questa composizione non fu approvata dall’apposita Commissione, che ne doveva giudicare l’efficacia simbolica ed il valore artistico; così l’incisore fu costretto ad apportarvi alcune modifiche (fig. 19), dando, per esempio, alle figure femminili un aspetto più dignitoso e al vecchio una testa da anziano e non da animale.

Figura 18 – f. 54r

Figura 18 – f. 54r

Figura 19 – f. 53r

Figura 19 – f. 53r

Ma la morte di Benedetto XIV, sopraggiunta il 3 maggio del 1758, quindi prima della festa dei SS. Pietro e Paolo, ne impedì l’emissione. Comunque Ottone aveva già inciso il conio, per cui la Reverenda Camera Apostolica gli rimborsò 15 scudi “... per un disegno finito per fare detto roverso per rappresentare in medaglia la diminuzione delle Gabelle seguita trà lo Stato ecclesiastico e lo Stato della Regina d’Ungheria col motto Vectigalia Imminuta etc...”, come risulta dal documento citato.

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