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Ugento (Lecce), un rinvenimento da Specchia Artanisi

Gruppo di folles bizantini dell'XI secolo: ripostiglio 'da borsellino' o 'di emergenza'?

di Aldo Siciliano

Figura 1 - L’Italia meridionale, con localizzazione di Ugento

Figura 1 - L’Italia meridionale, con localizzazione di Ugento

Ugento è uno dei più importanti centri messapici della penisola Salentina, situato all’estremità meridionale di una serra che raggiunge i 104 metri s.l.m., a circa km 6 dalla costa ionica, alla quale era collegato con lo scalo di Torre S. Giovanni (seguendo il sistema insediativo messapico che permetteva da un lato la difesa in caso di pericolo e, dall’altro, l’apertura al mondo esterno) [1].

Figura 2 - Ugento, Torre San Giovanni e la Specchia Artanisi in una foto aerea del 1968

Figura 2 - Ugento, Torre San Giovanni e la Specchia Artanisi in una foto aerea del 1968

L’abitato moderno si sovrappone in parte all’antico: solo alcune zone, situate soprattutto alla periferia orientale e settentrionale dell’area racchiusa dalla cinta muraria messapica [2], non sono state raggiunte dall’espansione edilizia degli ultimi decenni, che ha comportato la distruzione di molte evidenze archeologiche.

Figura 3 - Ugento, carta archeologica (da Scardozzi 2002)

Figura 3 - Ugento, carta archeologica (da Scardozzi 2002)

Le conoscenze sul centro antico non sono dovute a ricerche sistematiche, ma a rinvenimenti occasionali frequenti in modo particolare negli ultimi due decenni, grazie ad interventi di emergenza effettuati in seguito a lavori di scavo pubblici e privati. Per questo motivo si ha un quadro molto frammentario dell’insediamento antico: sono state scoperte fondazioni a blocchi di calcare pertinenti a varie strutture abitative, assi stradali in pietrame compattato e soprattutto sepolture. Probabilmente l’altura su cui sorge Ugento fu già occupata in epoca protostorica, ma testimonianze sicure di un insediamento si hanno solo a partire dal VI sec. a.C. [3], a quest’epoca risalgono due dei più importanti rinvenimenti verificatisi nella cittadina: il celebre Zeus bronzeo [4] e la tomba dipinta di via Salentina [5].

Figura 4 - Lo Zeus di Ugento (da Dell'Aglio 2002)

Figura 4 - Lo Zeus di Ugento (da Dell'Aglio 2002)

Figura 5 - La tomba di via Salentina

Figura 5 - La tomba di via Salentina

L’evidenza archeologica meglio conservata di Ugento è rappresentata dalle mura di cinta di cui sono ancora visibili alcuni tratti. Datate tra la seconda metà del IV ed il III secolo a.C., erano volte a difendere una superficie di circa 145 ettari: Ugento risulta così essere il più grande centro urbano della Messapia [6].

Figura 6 - La cinta muraria messapica

Figura 6 - La cinta muraria messapica

Ugento dovette rivestire una certa importanza anche in epoca romana quando, come sappiamo dalle fonti letterarie (LIVIO XXII, 61,11-12 [7], PLINIO Nat. Hist. III, 11, 105 [8]), il suo nome era Uzentum; la forma greca, riportata da Tolomeo (Geogr. 67) era invece textimg_1.png.

La zecca di Uzentum coniò soltanto monete in bronzo [9]: sono noti ora circa 350 esemplari.

Figura 7 - Emissioni di Uzentum

Figura 7 - Emissioni di Uzentum

Serie I Asse:
D/ ozan / ozan Testa femminile (Athena?) gianiforme, elmata
R/ Herakles stante con la mano d. poggiata sulla clava, cornucopia nella s., coronato da Nike

Figura 8 - Emissioni di Uzentum: assi

Figura 8 - Emissioni di Uzentum: assi

Serie II Semisse con Simboli o senza al rovescio:
D/ Testa di Athena con elmo corinzio. Dietro segno di valore.
R/ ozan.png, Herakles stante con la mano d. poggiata sulla clava, cornucopia nella s., e simbolo (spiga, testa di capro).

Figura 9 - Emissioni di Uzentum: semissi

Figura 9 - Emissioni di Uzentum: semissi

Serie III Quadrante? / Sestante?:
D/ Testa di Athena con elmo corinzio.
R/ AO Herakles stante con la mano d. poggiata sulla clava, cornucopia nella s.

Figura 10 - Emissioni di Uzentum: quadranti o sestanti?

Figura 10 - Emissioni di Uzentum: quadranti o sestanti?

Serie IV Oncia?:
D/ Aquila su fulmine.
R/ Anfora, AO, in basso due stelle ad 8 raggi.

Figura 11 - Emissioni di Uzentum: once?

Figura 11 - Emissioni di Uzentum: once?

Per il tipo dell’anfora, si tratta probabilmente di una pregiata anfora di bronzo di un tipo almeno formalmente simile a quello dell’ amphoriskos tenuto in mano dal giovane su delfino delle prime emissioni di Brindisi.

Figura 12 - Sestante di Brundisium, ca. 215 a.C. (da SNG Milano, 4784)

Figura 12 - Sestante di Brundisium, ca. 215 a.C. (da SNG Milano, 4784)

Il vaso ha un confronto con emissioni sia in argento che in bronzo di Taranto (III secolo a.C.) [10], nelle quali troviamo raffigurati anche gli astri.

Figura 13 - Didracma di Tarentum, ca. 272-235 a.C.

Figura 13 - Didracma di Tarentum, ca. 272-235 a.C.

Figura 14 - Divisionale in bronzo di Tarentum, ca. 275-200 a.C. (da Garrucci 1885)

Figura 14 - Divisionale in bronzo di Tarentum, ca. 275-200 a.C. (da Garrucci 1885)

Ricorda il kantharos in argento (si tratta di un unicum, in quanto produzione di lusso), seppellito probabilmente prima del 209 a.C. a Taranto (forse da un santuario), facente parte del tesoro Rothschild; prodotto a Taranto intorno alla metà del III secolo, conosciamo una replica ceramica in ‘stile di Gnathia’ da una tomba a camera tarantina [11].

Figura 15 - Confronto col kantharos Rothschild

Figura 15 - Confronto col kantharos Rothschild

Serie di dubbia identificazione:
si conoscono ora tre esemplari, che ci inducono ad escludere che si tratti di falsi, anche se riteniamo errata l’attribuzione ad Uzentum.
D/ Testa di Athena con elmo corinzio.
R/ KAIEIE(E) Fulmine orizzontale, sotto stella ad otto raggi, in basso EOYMENTHI.

Figura 16 - Emissione con KAIEIEE EOYMENTHI (da HN Italy, 1099)

Figura 16 - Emissione con KAIEIEE EOYMENTHI (da HN Italy, 1099)

Va notato lo stile rozzo, approssimativo delle serie III e IV. Anche la differente iscrizione (AO - ozan.png) e l’indicazione del valore solo in alcuni nominali (sotto forma di corrispondenza tipo-valore per l’asse con testa bifronte, di presenza del segno del valore per il semisse) fanno pensare a momenti diversi di funzionamento della zecca uzentina.

Le stesse monete erano destinate soprattutto alla circolazione locale, o per lo meno, ad aree corrispondenti all’attuale Puglia.

Figura 17 - Rinvenimenti di monete di Uzentum

Figura 17 - Rinvenimenti di monete di Uzentum

Le emissioni uzentine presentano problemi cronologici ed interpretativi non ancora risolti. Non siamo infatti ancora in grado di affermare se Uzentum battesse moneta già a partire dagli anni della presenza di Pirro in Italia e sino alla riconquista da parte di Roma dopo la defezione ad Annibale (209 a.C.), o nel periodo immediatamente precedente la “guerra sociale” (90-89 a.C.) ed in concomitanza con la condizione di municipium romano [12].

Recentemente, nel riconsiderare il problema delle emissioni uzentine, G. Sarcinelli ha proposto che l’attribuzione alle due serie con AO di nomenclature proprie del sistema monetario romano non sia l’unica opzione possibile: si potrebbe pensare, piuttosto, che esse rappresentino un nucleo di coniazioni più antiche, emesse su modello greco e su uno standard ponderale non ancora ben definibile, ma all’interno del quale un nominale si pone come doppio dell’altro, battute per dialogare con un circolante locale ancora ampiamente costituito da monete greche, come appare documentato nell’area in un orizzonte cronologico dei decenni finali del III secolo a.C., e come non lascerebbe escludere il noto coinvolgimento attivo di Uzentum nelle vicende annibaliche.
Solo in una fase successiva, forse dopo un’interruzione connessa alle conseguenze della guerra annibalica, la cui durata non siamo in grado di definire, Uzentum parrebbe aver emesso le due serie che presentano (in maniera più o meno esplicita) il segno del valore, serie emesse, a questo punto, su modello indubitabilmente romano, e su uno standard che, solo ora, possiamo definire unciale ridotto, che le focalizza nell’ambito del II secolo a.C. [13].

I ritrovamenti effettuati nell’area ugentina documentano per le fasi più antiche, dalla fine del VI al III secolo, quasi esclusivamente monete coniate in Magna Grecia, tra cui prevalgono i nominali battuti da Taranto; sono tuttavia rappresentate anche serie di altri ambiti, come la Sicilia, la Grecia, l’Egitto ed il nord-Africa. Naturalmente sono attestate anche monete della zecca di Uzentum [14].
Nelle fasi successive, a seguito dei cambiamenti e delle trasformazioni provocate dalla conquista romana, si modifica il quadro della circolazione, progressivamente caratterizzato e poi dominato dalla monetazione di Roma.

Figura 18 - Circolazione di moneta ad Uzentum (da OZAN)

Figura 18 - Circolazione di moneta ad Uzentum (da OZAN)

Si segnala il rinvenimento di un ripostiglio di denari romani repubblicani, la cui moneta più recente è del 90 a.C., per cui si può ipotizzare che l’occultamento sia avvenuto probabilmente nel corso della “guerra sociale”. Dell’età imperiale sono note emissioni dal I al IV secolo, seguite da pochi esemplari bizantini di VI e X secolo.

Figura 19 - Area di rinvenimento del tesoretto di età repubblicana (da OZAN)

Figura 19 - Area di rinvenimento del tesoretto di età repubblicana (da OZAN)

In età tardoantica il centro, investito dalle invasioni barbariche, si contrae notevolmente. L’occupazione bizantina, seguita alle guerre gotiche, aprì una nuova fase della storia locale, nella quale Ugento continuò a svolgere un ruolo importante tanto da diventare, con la diffusione del Cristianesimo, una delle prime diocesi del basso Salento.

La Specchia Artanisi

Grazie ad un protocollo d’intesa sottoscritto nel 2006 dal Comune di Ugento, dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, è stato dato avvio ad un progetto di ricerca territoriale (con il finanziamento anche della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia), che nel 2008 e 2009 ha interessato una delle più importanti aree archeologiche di età preistorica scoperte negli ultimi anni nel Salento, situata in località Artanisi, tra Ugento e Torre San Giovanni [15].
Il sito è ubicato 2,5 km a SO di Ugento, al margine sud-occidentale della Serra delle Fontane prospiciente la costa ionica, oggi distante ca. 2 km; dal rilievo calcareo su cui è situata la Specchia Artanisi, il terreno scende ripidamente con un salto di quota fino alla pianura [16].

Figura 20 - La Specchia Artanisi in una foto da satellite

Figura 20 - La Specchia Artanisi in una foto da satellite

La situazione attuale di questo tratto di litorale risulta però fortemente trasformata rispetto a quella antica, ed un importante contributo alla ricostruzione paleo-ambientale è fornito sia dalla cartografia storica che dalle fotografie aeree degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso; infatti, le località poste subito a S della Specchia Artanisi erano occupate da una laguna costiera ora interrata e da un’estesa area paludosa, separata dalla costa da un cordone dunale, ricordata anche nella toponomastica, bonificata tra il 1932 e il 1952 [17].

Figura 21 - Variazioni della linea di costa (da Scardozzi 2010a)

Figura 21 - Variazioni della linea di costa (da Scardozzi 2010a)

In epoca storica, la laguna e l’ampio canale naturale protetto verso il mare da una lunga scogliera (oggi frantumata) che si protendeva dalla cinquecentesca Torre San Giovanni per ca. 1.200 m parallelamente al litorale sabbioso, da cui attualmente dista ca. 200 m, costituivano lo scalo portuale utilizzato dall’abitato messapico, romano e medievale di Ugento [18].
La Specchia Artanisi sorgeva in una posizione dominante e ben visibile dal mare, lungo un tratto di costa più alto ed articolato di quello attuale, che offriva condizioni favorevoli all’approdo, grazie alla laguna costiera (ambiente naturale favorevole anche alla pesca ed alla caccia) ed alla presenza di sorgenti d’acqua dolce; il piccolo insediamento di capanne dell’Età del Bronzo a cui verosimilmente era pertinente l’area funeraria della Specchia, su un piccolo rilievo roccioso proteso in direzione della costa, occupava anch’esso una posizione dominante che garantiva un’ampia visuale su tutto il litorale.

Figura 22 - Planimetria generale della Specchia Artanisi (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 22 - Planimetria generale della Specchia Artanisi (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Ciascuno dei tre tumuli funerari dell’età del Bronzo, contigui tra loro, ricopriva una tomba megalitica, posta al centro, costituita da una grande cista realizzata con lastroni di calcarenite, contenente deposizioni multiple [19]. In tutte le tombe i materiali ceramici provenienti dalle sepolture sono risultati essere di facies protoappenninica [20].

Figura 23 - I tre tumuli dell’età del Bronzo (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 23 - I tre tumuli dell’età del Bronzo (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 24 - Foto e planimetria della tomba 2 (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 24 - Foto e planimetria della tomba 2 (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Le ricerche per la ricostruzione della topografia antica di quest’area hanno riservato particolare attenzione alla contestualizzazione del monumento in rapporto alle altre specchie presenti nelle vicinanze ed alle fasi di utilizzo successive a quelle di epoca protostorica, in particolare di età medievale, che la campagna del 2009 ha evidenziato in tutta la sua rilevanza. Se nell’Età del Bronzo la Specchia Artanisi costituiva un punto di riferimento territoriale, il sito, per la sua posizione elevata, costituì anche un ottimo punto di osservazione, adatto al controllo della fascia costiera; è in parte anche con questo scopo che la Specchia può essere stata occupata in età medievale (X-XII secolo), oltre che per attività legate alla produzione di calce ed allo sfruttamento agricolo del territorio circostante [21].
Lo scavo ha permesso di chiarire come l’aspetto attuale della Specchia, estesa complessivamente su una superficie di ca. m 60 x 45, sia il risultato di un processo di disfacimento, alterazione e trasformazione di tre tumuli funerari dell’età del Bronzo, contigui tra loro. Ciascun tumulo ricopriva una tomba megalitica, posta al centro, costituita da una grande cista realizzata con lastroni di calcarenite, contenente deposizioni multiple. In tutte le tombe i materiali ceramici provenienti dalle sepolture sono risultati essere di facies protoappenninica. La continuità d’uso dell’area e del monumento stesso nel corso dei secoli ha portato alla progressiva alterazione e distruzione dei tumuli: dall’apertura e dalla spoliazione delle tre tombe più grandi, alla frantumazione ed al taglio di alcune delle loro lastre; dal tentativo di violazione della T4 tra il II ed il III secolo d.C. (come indicato dalle datazioni al radiocarbonio), alla rioccupazione della Specchia in epoca medievale (in particolare tra il X ed il XII secolo), con la realizzazione di una calcara (in cui sono stati cotti molti dei materiali costituenti i tumuli stessi) e di probabili strutture lignee con tetti coperti da coppi.
Per l’età medievale i materiali più significativi sono rappresentati dal tesoretto di 14 monete in bronzo di epoca bizantina, e da ceramica coeva rilevata nella medesima unità stratigrafica. Per quanto concerne i frammenti fittili sono stati rinvenuti prevalentemente laterizi, in particolare coppi, cioè materiali usati per la costruzione di tetti e tettoie. Sebbene sia difficile tentare delle cronologie fini per questo tipo di manufatti, considerato anche l’attuale stato degli studi in proposito, è possibile ipotizzare una loro datazione complessiva presumibilmente entro l’XI-XII secolo. Inoltre, il rinvenimento di ceramica da fuoco, da dispensa e anfore da trasporto “tipo Otranto” lascia supporre la presenza di un contesto definibile come in parte domestico, in parte legato, attraverso la presenza appunto di anfore da trasporto, ad una attività rurale che prevedeva lo stoccaggio di un surplus di produzione di vino destinata al commercio. Un ulteriore dato cronologico anche utile a confermare la parziale natura di tipo domestico di alcuni spazi del sito, proviene dall’US 135 del saggio 12 che ha restituito ancora frammenti di anfore per l’acqua, pentole e brocche del tutto simili a quelle dell’US 119. Va sottolineato, altresì, che è questa l’unità stratigrafica di rinvenimento del suddetto gruzzolo di monete bizantine che concorre sicuramente a confermare una datazione entro l’XI secolo del contesto medievale di Specchia Artanisi [22]. Allo stesso periodo si data probabilmente anche l’attività della calcara, impiantata sulla parte più alta del tumulo, nei cui strati di crollo si è rilevata ancora una volta la presenza di ceramica di X e XI sec. [23].
Frequentazioni più recenti, probabilmente collegate ad attività agricole e di allevamento, sono indicate dalla presenza, non molto consistente, di ceramica post-medievale, dal probabile uso come rifugio della camera funeraria della tomba 1, indicato in particolare da una moneta del 1923, e dall’impianto su gran parte della superficie di piante di olivo.

Il ripostiglio [24]

Il ripostiglio di monete da Ugento “Artanisi” è stato recuperato, nella sua integrità, all’estremità settentrionale del tumulo della T2, all’interno del saggio 12.

Figura 25 - Planimetria della Specchia Artanisi con localizzazione del tesoretto (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 25 - Planimetria della Specchia Artanisi con localizzazione del tesoretto (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Le monete, coperte da pietrame minuto e terra, si trovavano al di fuori di un contenitore, in uno spazio di pochissimi centimetri e ad una profondità minima. Le stesse monete appaiono troppo omogenee per non aver fatto parte originariamente di un ripostiglio: probabilmente erano in un contenitore confezionato con panno o altri materiali parimenti deperibili.

Figura 26 - Le monete al momento dello scavo (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 26 - Le monete al momento dello scavo (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 27 - Le monete al momento dello scavo (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Figura 27 - Le monete al momento dello scavo (da Bietti-Sestieri - Scardozzi 2010)

Il ripostiglio è costituito da 14 folles dell’Impero d’Oriente, tra cui 9 esemplari anonimi e 5 emessi da Costantino X Dukas, tutti battuti nella zecca di Costantinopoli.

Figura 28 - Composizione del ripostiglio

Figura 28 - Composizione del ripostiglio

Gli esemplari risultano di conservazione medio-buona.
Considerando la data di emissione, essi coprono un breve arco cronologico che va dal 1042 al 1067/1070, accentrandosi tra il 1059 ed il 1070. Le emissioni più recenti sicuramente attribuibili sono quelle di Costantino X Dukas (1059-1067); mancano monete emesse in nome di Romano IV (1068-1071) anche se l’ipotesi degli studiosi è che la coniazione dei folles anonimi di classe G sia da collocare tra la fine del regno di Costantino e quello di Romano (1065-1070).
Il 50% delle monete che presentiamo risulta riconiato. Come noto, talvolta le zecche, invece di realizzare tondelli freschi per coniare nuove monete, provvidero a ribattere con nuove impronte vecchie monete, con un risparmio sui costi di produzione (si evitava così di rifondere le monete ritirate dal circolante). A volte si poteva verificare che le nuove impronte non cancellassero del tutto le precedenti, soprattutto nel caso di monete di rame, che lasciano leggere due o addirittura tre tipi differenti. Questo fenomeno risulta particolarmente presente su folles anonimi bizantini battuti a Costantinopoli nel corso dell’XI secolo.
Nel ripostiglio Artanisi sono riconiati l’esemplare anonimo della classe Da (circa 1050 - circa 1060: [cat. 3]) su anonimo della classe C (1042?-circa 1050); due esemplari della classe G (circa 1065 - circa 1070: [cat. 6, 9]); tre esemplari emessi a nome di Costantino X Dukas (1059-1067: [cat. 10, 11, 14] su anonimi della classe D (1050-1060); uno su un anonimo della classe E (circa 1060: cat. 13]).

Figura 29 - Follis anonimo della classe Da riconiato su follis della classe C (cat. 3): foto del R/

Figura 29 - Follis anonimo della classe Da riconiato su follis della classe C (cat. 3): foto del R/

Figura 30 - R/, il tipo superiore

Figura 30 - R/, il tipo superiore

Figura 31 - R/, l’undertype

Figura 31 - R/, l’undertype

Figura 32 - R/, i due tipi sovrapposti

Figura 32 - R/, i due tipi sovrapposti

Figura 33 - Follis di Costantino X Dukas (cat. 14)  riconiato su anonimo della classe D: foto del D/

Figura 33 - Follis di Costantino X Dukas (cat. 14) riconiato su anonimo della classe D: foto del D/

Figura 34 - D/, il tipo superiore

Figura 34 - D/, il tipo superiore

Figura 35 - D/, l’undertype

Figura 35 - D/, l’undertype

Figura 36 - R/, i due tipi sovrapposti

Figura 36 - R/, i due tipi sovrapposti

I pesi dei singoli esemplari vanno da g 3,71 a g 9,27 (comunque un solo esemplare risulta di peso particolarmente basso - riconiato - , mentre tutti gli altri si concentrano tra g 5,69 e g 9,27).
Il peso medio per gli esemplari riconiati è g 6,758; il medio ponderato è g 6,802; il mediano reale è g 6,170.

Nello stesso periodo le monete di rame avevano un valore nominale che per consuetudine era superiore al valore del metallo. In proposito, si può notare che le monete di rame bizantine erano battute “al marco” (ossia stabilendo il numero di monete da produrre rispetto ad una data quantità di metallo, senza particolare attenzione all’uniformità di peso dei singoli esemplari), e si riscontrano consistenti differenze di peso tra gli esemplari.
L’alterazione del peso di una moneta deriva a volte dall’uso, piuttosto che dalla fabbricazione; monete che restavano a lungo in circolazione potevano consumarsi e di conseguenza perdere peso.
Per comprendere meglio il significato del nostro rinvenimento, e per stabilirne possibili limiti cronologici, non basta stabilirne la data di emissione e la zecca di provenienza, ma bisogna stabilirne anche l’ambito e il livello di circolazione, la durata in circolazione e le possibilità di cambiamento di funzione nel tempo. L’associazione con il contesto di scavo è essenziale, come per qualsiasi altro materiale, e “per questo i dati sulla provenienza sono fondamentali; ed è necessario che siano precisi e che si indichino tutte le associazioni con altri materiali” [25]. Per ogni moneta è necessario individuare diverse date: la data di coniazione, la data in cui quell’esemplare fu perduto, o occultato o offerto, la data in cui quel tipo di moneta uscì dalla circolazione ed eventualmente anche la data in cui fu riutilizzato.
Necessario, poi, far riferimento alle vicende storiche nell’area, alla circolazione della moneta bizantina di rame e alle sue frontiere territoriali e cronologiche, al suo ritiro e sostituzione con la monetazione normanna [26].
All’inizio del Mille le regioni meridionali dell’Italia presentano una situazione articolata e fluida a causa di spinte centrifughe interne e tentativi di intromissione esterna. I Bizantini, che nel corso del IX secolo avevano dato inizio ad un’azione di riconquista dei territori dell’Italia meridionale in mano araba, esercitavano ora il controllo sulla Puglia e la Calabria, e su una parte della Lucania. A Bisanzio, Basilio II (976-1025) aveva condotto all’apogeo la potenza dell’Impero, impegnandosi contro le spinte disgregatrici dell’aristocrazia latifondista e contro le rivolte nei Balcani. L’imperatore pose la sua attenzione anche all’Italia meridionale, ove intanto i themata bizantini di Longobardia e Calabria (oltre a quello di Lucania) erano stati unificati nella struttura amministrativa del Catepanato d’Italia, con capitale Bari.
Successivamente alla morte di Basilio II, le vicende di Puglia e l’indebolimento del governo bizantino fornivano numerose occasioni di inserimento alle forze normanne, le quali a partire dalla vittoria di Venosa del 1041 giunsero a controllare gran parte della Puglia e della Basilicata: nel 1071 Bari si arrendeva a Roberto il Guiscardo. Alla caduta della capitale del Catepanato d’Italia seguirà, in pochi anni, la fine delle ultime resistenze delle città pugliesi.
La conquista normanna della Puglia fu favorita, almeno all’inizio, da circostanze interne, quali la instabile organizzazione politica ed amministrativa del territorio pugliese, o il diffuso clima antibizantino della popolazione, che aveva già provocato ripetuti tentativi di rivolta (tra cui quello più clamoroso era stato l’insurrezione di Melo di Bari) e da fattori esterni, quali il discreto favore con qui i Normanni furono generalmente visti, in funzione antibizantina, dall’Impero e dal Papato, e, proprio negli anni 1067-1071, dalla necessità di Bisanzio di contrastare l’avanzata dei Turchi Selgiuchidi che premevano sul fronte orientale dell’impero: "e quindi di dover dedicare alla difesa di quel settore tutti i propri sforzi, anche a scapito della perdita dei territori italiani, essendo il pericolo rappresentato dai Normanni senz’altro minore di quello rappresentato dai Turchi" [27].

Figura 37 - L’Italia meridionale in età normanna (da Corsi 2009)

Figura 37 - L’Italia meridionale in età normanna (da Corsi 2009)

Il Guiscardo riorganizzò amministrativamente i territori conquistati e provvide alla redistribuzione della proprietà terriera e alla formazione di un solido apparato di potere.
Il primo momento di entusiasmo si spense però ben presto, lasciando il posto ad un atteggiamento ostile della popolazione locale dinanzi alla brutalità e rapacità dei nuovi dominatori, i quali restarono sostanzialmente estranei; a ciò si aggiunse la lunga e ostinata resistenza opposta dai Bizantini, ed infine le ribellioni degli stessi Conti normanni, sostenuti da Bisanzio stessa, al proprio Duca.
In Puglia meridionale l’azione militare fu caratterizzata da un continuo altalenarsi di progressi e regressi, di città conquistate, riprese dai bizantini, riconquistate: è il caso di Brindisi, Otranto, Oria [28].
La distribuzione dei rinvenimenti di folles bizantini indica presenze diverse in Campania, Calabria e Puglia, con punte che coincidono con periodi di particolare coinvolgimento militare bizantino, diverso nelle differenti regioni.

Figura 38 - Folles bizantini (886-1092) rinvenuti in Campania (da Travaini 2007)

Figura 38 - Folles bizantini (886-1092) rinvenuti in Campania (da Travaini 2007)

Figura 39 - Folles bizantini (886-1092) rinvenuti in Calabria (da Travaini 2007)

Figura 39 - Folles bizantini (886-1092) rinvenuti in Calabria (da Travaini 2007)

Figura 40 - Folles bizantini (886-1092) rinvenuti in Puglia (da Travaini 2007)

Figura 40 - Folles bizantini (886-1092) rinvenuti in Puglia (da Travaini 2007)

I folles di Romano I sono molto diffusi ovunque nel sud, ma percentualmente più numerosi in Campania; in Calabria i più numerosi sono i folles anonimi di classe C (da collegare alle imprese di Maniace) e non a caso imitati dal primo tipo calabrese in rame di Ruggero I (ca. 1087): la maggior parte dei folles di classe C si può considerare affluita da Costantinopoli nel corso delle operazioni militari per la riconquista siciliana e calabrese. Invece in Puglia, estremo baluardo di resistenza contro i Normanni, sono attestati in quantità maggiore tipi più tardi (classe E, F, G, ed emissioni di Romano IV), emessi fino al 1071, cioè nell’anno in cui Bari cadde in mano normanna: non si può escludere un movimento dovuto anche a motivi commerciali, ma la coincidenza tra gli eventi militari e l’arrivo di nutrite immissioni di origine militare che entrano a vivacizzare gli scambi locali ed interregionali, non sembra una coincidenza. I folles furono usati a lungo: a lungo, ma quanto?
Lo studio, condotto soprattutto da Lucia Travaini, dei rinvenimenti monetali censiti su tutto il territorio meridionale, ha evidenziato una loro prolungata durata in uso in Italia meridionale, almeno sino alla fine dell’XI e agli inizi del XII secolo (quando i primi interventi monetari normanni ne limitano fortemente la circolazione), subendo anche imitazioni locali (è stata attribuita alla Puglia anche una produzione locale di imitazioni di folles bizantini anonimi di classe C di modulo ridotto: le prime di queste imitazioni furono di modulo simile a quello degli originali, ma poi ridotto contemporaneamente alle riduzioni dei follari normanni della zecca di Salerno) [29].

Figura 41 - Imitazioni pugliesi (b - c) di folles bizantini battuti a Costantinopoli (a) (da Travaini 2007)

Figura 41 - Imitazioni pugliesi (b - c) di folles bizantini battuti a Costantinopoli (a) (da Travaini 2007)

Si assiste ad una progressiva riduzione del numero di monete rinvenute emesse dopo la metà dell’XI secolo, rispetto a quelle di X e della prima metà dell’XI, con un calo numerico sensibile di materiale del XII e degli inizi del XIII secolo.
Si pensi alla grande quantità di folles bizantini di X e XI secolo che si rinvengono negli scavi, numero decisamente superiore rispetto alle monete del XII secolo: ad Otranto, folles di X-XI sono stati rinvenuti in contesti di XII e XIII secolo; fino a che punto possiamo ritenere residuali quelli in contesti di XIII e in uso quelli in contesti di XII?
Si riteneva comunemente che i folles bizantini avessero circolato sino alla riforma monetaria di Ruggero II, il quale nel 1140 avrebbe tentato di mettere ordine nella circolazione minuta, abolendo le romesinae.
Lucia Travaini ha osservato come già Gisulfo II, l'ultimo principe longobardo di Salerno (1052-1078), avesse cominciato a ribattere i folles con i propri tipi. Quando giunsero in Italia meridionale, i Normanni trovarono in uso in Italia meridionale gran quantità di folles bizantini di rame della zecca di Costantinopoli (e, in parte, anche i follari salernitani di Gisulfo II), ed anch’essi cominciarono a ribatterli.
Verso il 1119 il duca Guglielmo aveva effettuato una riforma della moneta in rame introducendo monete più leggere e di tondello più globulare: "Non sappiamo se vi fosse stata una esplicita operazione di ritiro dalla circolazione dei tipi bizantini, ma non è escluso; del resto i follari normanni si andavano riducendo di peso e quelli bizantini tendevano probabilmente a passare in zecca" [30]. Pertanto la studiosa ha accolto la proposta di Grierson che le romesinae abolite da Ruggero II fossero i denari di Rouen, ritenendo non più sostenibile l’ipotesi di permanenza in circolazione dei folles sino al 1140, ma pensando piuttosto che continuassero ad essere usati sino ai primi interventi monetari normanni, tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo [31].
In sintesi, la Travaini, in un suo recente lavoro, si domanda: "Quando e come la moneta bizantina in Italia meridionale divenne una moneta ‘straniera’?" E risponde: "Lentamente, ma già a partire dalla fine dell’XI secolo, dopo le prime riforme monetarie normanne". I folles della zecca di Costantinopoli furono moneta locale in Puglia in quanto provincia bizantina, e restarono a lungo moneta locale finché i Normanni non imposero una propria monetazione [32]. Da sottolineare anche la grande rarità di monete normanne nella Puglia meridionale.

Non facile stabilire quando il ripostiglio da Ugento fu perduto, nascosto o offerto: la data di “chiusura”, sulla base delle cronologie di emissione dei singoli esemplari, deve essere posta intorno al 1070 o successivamente; qualora si tratti della perdita occasionale di un gruzzolo, tale data potrebbe protrarsi in maniera anche sensibile nel tempo. Lo stato di consunzione delle monete, sebbene utile, non costituisce un indice affidabile del tempo intercorso dalla coniazione, poiché è impossibile ricostruire, per ciascuna serie in ciascun sito, un indice medio di consunzione per segmento temporale, essendo la velocità di circolazione di ciascun esemplare legata a circostanze casuali.
Potrebbe trattarsi di un ripostiglio “da borsellino” o di un ripostiglio “di emergenza”. I ripostigli “da borsellino” sono costituiti da nominali di maggior utilizzo per le necessità immediate, non necessariamente di alto valore intrinseco, quasi sempre in metallo vile o piccoli nominali divisionali d’argento. Sono estremamente preziosi e possono essere confrontati con i rinvenimenti isolati per formare un campione statistico più ampio e significativo. Raccolgono, in genere, esemplari della stessa specie o, comunque, nominali realizzati con lo stesso metallo. La composizione dei ripostigli “di emergenza” è invece frutto di un’urgenza legata al momento di pericolo imminente, che non consentiva di operare una scelta delle monete da occultare, ed il loro non recupero è solitamente conseguenza di un fatto tragico.

Poche parole, infine, sul contesto di scavo: lo scavo ha permesso di chiarire come l’aspetto attuale della Specchia sia il risultato di un processo di disfacimento, alterazione e trasformazione dei tre tumuli funerari successivamente all’età del Bronzo. La continuità d’uso dell’area e del monumento stesso nel corso dei secoli ha portato alla progressiva alterazione e distruzione dei tumuli: le tre tombe più grandi furono aperte e spoliate, con frantumazione e taglio di alcune delle loro lastre, mentre tra il II ed il III secolo d.C. (cronologia ottenuta grazie alle datazioni al radiocarbonio) vi fu il tentativo di violazione della Tomba 4.
In età medievale, in particolare tra il X ed il XII secolo, la Specchia fu rioccupata: furono edificate strutture lignee con tetti coperti da coppi, e fu installata una calcara, che dovette contribuire alla distruzione parziale della Specchia, in quanto molti dei materiali cotti per produrre calce furono tratti dai tumuli stessi [33]. Ulteriori interventi sono collegati alla piantumazione di ulivi.
Tali vicende subite dalla Specchia inducono a guardare con particolare cautela al livello di recupero del tesoretto, a pochi centimetri dal piano di campagna attuale, che potrebbe non corrispondere a quello originario.
Una collocazione quasi al livello del piano di campagna indurrebbe a ritenere più verosimile l’ipotesi del ripostiglio “da borsellino”, ma non va trascurata la possibilità che il gruzzolo sia il risultato di un occultamento “di emergenza” (comunque in un contenitore deperibile) a causa del momento di pericolo immediato legato alla conquista del territorio da parte dei Normanni (ed in questo caso la data di “chiusura” troverebbe una perfetta coincidenza temporale con quella della conquista da parte dei Normanni di Bari e della Puglia meridionale).

Catalogo [34]
di Giuseppe Sarcinelli

Impero d'Oriente: emissioni anonime

1. (M13) Follis; Costantinopoli
AE g 6,56; mm 26,65; c. buona; p.c. 6
D/ textimg_2.png. Cristo barbato con nimbo crucigero, vestito con stola e kolobion, stante di fronte, con la mano d. levata a benedire, i Vangeli nella s.. A s. e d., textimg_3.png. Contorno puntinato
R/ Croce ornata di globetti cantonata da textimg_4.png. Contorno puntinato

1042 (?) - 1050 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 600, n.41/86 ss.; DOC III,2, p. 682, classe C, n. 16


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2. (M14) Follis; Costantinopoli
AE g 7,51; mm 28; c. discreta; p.c. 6
D/ textimg_5.jpg. C.s.. A s. e d., textimg_3.png
R/ C.s., ma textimg_6.jpg

1042 (?) - 1050 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 600, n. 41/86 ss.; DOC III,2, p. 683, classe C, n. 29


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3. (M1) Follis; Costantinopoli
AE g 5,69; mm 26,7; c. buona; p.c. 6
D/ Cristo barbato con nimbo crucigero, vestito con tunica e himation, seduto di fronte su trono, con la mano d. levata a benedire, i Vangeli nella s.. A s. e d., textimg_3.png. Contorno puntinato
R/ textimg_7.png Contorno puntinato

Ca. 1050 - ca. 1060 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 601, n. 41/107; DOC III,2, p. 687, classe Da
Riconiato su un follis anonimo della classe C (1042 ? - ca. 1050)


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4. (M3) Follis; Costantinopoli
AE g 9,27; mm 23,4; c. buona; p.c. 6
D/ Busto di fronte di Cristo barbato con nimbo crucigero, vestito con tunica e himation, con la mano d. levata a benedire, rotolo nella s.. A s. e d., textimg_3.png. Contorno perlinato
R/ Busto di fronte della Vergine orante, nimbata, vestita con tunica e maphorion. A s. e d., textimg_8.png. Contorno perlinato

Ca. 1065 - ca. 1070 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 602, n. 41/126; DOC III,2, p. 692, classe G, n. 7


5. (M6) Follis; Costantinopoli
AE g 8,6; mm 26,15; c. buona; p.c. 6
D/ C.s.. A s. e d., textimg_3.png
R/ C.s.. A s. e d., textimg_8.png

Ca. 1065 - ca. 1070 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 602, n. 41/124 ss.; DOC III,2, classe G, n. 1 ss.


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6. (M8) Follis; Costantinopoli
AE g 7,76; mm 24,35; c. ottima; p.c. 5
D/ C.s.. A s. e d., textimg_3.png
R/ C.s.. A s. e d., textimg_9.png

Ca. 1065 - ca. 1070 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 602, n. 41/124 ss.; DOC III,2, classe G, n. 6
Tracce di riconiazione


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7. (M11) Follis; Costantinopoli
AE g 6,72; mm 25,35 c. buona; p.c. 6
D/ C.s.. A s. e d., textimg_3.png
R/ C.s.. A s. e d., textimg_8.png

Ca. 1065 - ca. 1070 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 602, n. 41/124 ss.; DOC III,2, p. 692, classe G, n. 1 ss.
Tracce di scivolamento di coni


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8. (M4) Follis; Costantinopoli
AE g 6,58; mm 23,4; c. discreta; p.c. 6
D/ C.s.. A s. e d., textimg_3.png
R/ C.s.. A s. e d., textimg_8.png

Ca. 1065 - ca. 1070 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 602, n. 41/124 ss.; DOC III,2, classe G, n. 6


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9. (M9) Follis; Costantinopoli
AE g 3,71; mm 26,6; c. buona; p.c. 6
D/ C.s.. A s. e d., textimg_3.png
R/ C.s.. A s. e d., textimg_8.png

Ca. 1065 - ca. 1070 (DOC)
Morrisson 1970, vol. II, p. 602, n. 41/124 ss.; DOC III,2, classe G, n. 6
Tracce di riconiazione


Costantino X Dukas (1059-1067)

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10. (M10) Follis; Costantinopoli
AE g 7,34; mm 23,2 (max. 26,1); c. mediocre; p.c. 6
D/ Cristo barbato con nimbo crucigero, vestito con tunica e himation, stante di fronte, la mano d. alzata in atto di benedire, i Vangeli nella s.. A s. e d., textimg_10.png. Contorno puntinato
R/ A s. Edocia, a d. Costantino X barbato, entrambi con corona con croce e pendilia, vestiti con loros con maniakion, con la mano esterna poggiata sul petto, quella interna a tenere un labaro posto su tre gradini. A d., textimg_11.png immagine; a s., immagine immagine. Contorno puntinato

1059 - 1067
Morrisson 1970, vol. II, p. 645, n. 51/01 ss.; DOC III,2, p. 774, n. 8.1 ss.
Riconiato su un follis anonimo della classe D (1050-1060)


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11. (M12) Follis; Costantinopoli
AE g 6,59; mm 23,5; c. mediocre; p.c. 6
D/ textimg_5.jpg. C.s.. A s. e d., immagine
R/ C.s.. A d., textimg_5.jpg arrow_down.png; a s., immagine immagine

1059 - 1067
Morrisson 1970, vol. II, p. 645, n. 51/01 ss.; DOC III,2, p. 774, n. 8.1 ss.
Riconiato su un follis anonimo della classe D (1050-1060)


immagine

12. (M2) Follis; Costantinopoli
AE g 6,32; mm 26,9; c. discreta; p.c. 6
D/ immagine. C.s.. A s. e d., immagine
R/ C.s.. A d., immagine immagine; a s., immagine immagine

1059 - 1067
Morrisson 1970, vol. II, p. 645, n. 51/02 ss.; DOC III,2, p. 774, n. 8.1 ss.


immagine

13. (M5) Follis; Costantinopoli
AE g 6,17; mm 29,9; c. ottima; p.c. 6
D/ immagine C.s.. A s. e d., immagine
R/ C.s.. A d., immagine immagine; a s., immagine immagine

1059 - 1067
Morrisson 1970, vol. II, p. 645, n. 51/01 ss.; DOC III,2, p. 774, n. 8.1
Riconiato su un follis anonimo della classe E (ca. 1060)


immagine

14. (M7) Follis; Costantinopoli
AE g 5,79; mm 26,2; c. ottima; p.c. 6
D/ immagine. C.s.. A s. e d., immagine
R/ C.s.. A d., immagine immagine; a s., immagine immagine

1059 - 1067
Morrisson 1970, vol. II, p. 645, n. 51/01; DOC III,2, p. 774, n. 8.1
Riconiato su un follis anonimo della classe D (1050-1060)


Note

[1] Scardozzi 2002, p.18; Idem 2003, passim.
[2] Idem 2002, pp. 18-20 e p. 23.
[3] Idem 2002, pp. 22-25; Idem 2003, p. 343.
[4] Andreassi 2002, passim; Dell’Aglio 2002, passim.
[5] Scardozzi 2002, p. 22; Semeraro 2002, p. 29.
[6] Scardozzi 2003, p. 344.
[7] Liv., a.U.c., XXII 61, 11-12: "Defecere autem ad Poenos hi popoli: Campani, Atellana, Calatini, Hirpini, Apulorum pars, Samnites praeter Pentros, Bruttii omnes, Lucani, praeter hos Uzentini et Graecorum omnis ferme ora, Tarantini, Metapontini, Crotonienses Locrique, et Cisalpini omnes Galli".
[8] Plin., N.H., III, 11, 105: "Calabrorum mediterranei Azetini, Apamestini, Argetini, Butuntinenses, Decani, Grumbestini, Norbanenses, Palionenses, Stulnini, Tutini, Sallentinorum Aletini, Basterbini, Neretini, Uzentini, Veretini".
[9] Siciliano 1991, pp. 252-254; HN Italy, p. 107; Siciliano 2002, pp. 76-77; Nizzo 2004; Sarcinelli a.
[10] Siciliano 1991, p. 253.
[11] Siciliano 1992, pp. 117-126.
[12] Nizzo 2004, p. 491, n.63.
[13] Sarcinelli a.
[14] Il tema è stato recentemente oggetto di un lavoro di tesi di laurea (Rillo 2007-2008).
[15] Bietti-Sestieri 2010a, p. 9.
[16] Artanisi 2009, pp. 9-24, con bibliografia precedente.
[17] Lezzi 2000.
[18] Cfr. Schmiedt 1975, p. 149, e Pizzurro 2002, pp. 289-290. I rinvenimenti archeologici documentano una frequentazione dell’area portuale almeno dall’età arcaica fino all’epoca altomedievale: cfr. da ultimi Pizzurro 2002, pp. 283-298, ed Auriemma 2004, passim, con bibliografia precedente.
[19] Scardozzi 2010b, pp. 38-39; Idem 2010c, p. 43.
[20] Bietti-Sestieri 2010c, p. 68.
[21] Pezzulla 2010, pp. 70-71.
[22] Vedi infra.
[23] Tagliente 2010, passim.
[24] Siciliano 2010 e Sarcinelli 2010, passim.
[25] Travaini 2007, p. 132.
[26] Sulla problematica storica e numismatica, cfr. Corsi 2009 e Travaini 2007 (con bibliografia di riferimento).
[27] Poso 1988, p. 34.
[28] Poso 1988, p. 22.
[29] L’argomento è stato recentemente ripreso da A. De Gasperi nel corso del III Congresso di Numismatica a cura del Circolo Numismatico Pugliese (Bari, 12-13 novembre 2010), i cui atti sono in corso di stampa (De Gasperi a).
[30] Travaini 1999, p. 117.
[31] Eadem 1999, pp. 117-118; Eadem 2007, p. 44; cfr. inoltre Grierson - Travaini 1998, p. 118.
[32] Sarcinelli b.
[33] Pezzulla 2010, pp. 71-73.
[34] Il catalogo è stato redatto da Giuseppe Sarcinelli dell’Università del Salento, Lecce, Dipartimento di Beni Culturali. Ogni scheda riporta il numero progressivo di catalogo e il numero di rinvenimento (M1 ss.). La posizione coni (p.c.) viene indicata mediante le ore del quadrante orario.