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La Collezione Reale e gli studi sulla monetazione medievale italiana

di Andrea Saccocci

Analizzare l’apporto della grande Collezione Reale allo sviluppo degli studi sulla monetazione medievale italiana significa essenzialmente occuparsi del Corpus Nummorum Italicorum, inizialmente concepito proprio come catalogo della collezione di Vittorio Emanuele III di Savoia. Anche se questo, già in fase di progettazione [1] e quindi di realizzazione, si trasformò, grazie alla collaborazione di quasi tutti i responsabili di collezioni numismatiche italiane e di molti di quelle straniere, in un vero e proprio corpus di tutte le monete italiane medievali e moderne, la sua natura essenzialmente catalogica non venne certo meno. Infatti, pur se nelle attribuzioni e nelle classificazioni l’opera utilizzò tutta la letteratura precedente, anche la più recente, aggiungendovi non poche novità, nel testo non venne minimamente dato conto di questo lavoro preparatorio, neppure a livello di semplice bibliografia. Quindi nel complesso il Corpus si configurò come una nuda e cruda presentazione di una massa imponente di materiale numismatico, meticolosamente descritto nelle varianti anche più sottili e corredato da un ricchissimo apparato fotografico [2]. Questo non significa affatto che debba considerarsi un’opera di minor valenza scientifica: agli inizi del ‘900 poter offrire agli studi un panorama completo delle emissioni realizzate in Italia, descritte puntigliosamente, classificate in accordo con le più recenti ricerche e diffusamente illustrate poteva rappresentare un enorme passo avanti nella ricerca numismatica italiana, tale da portarla a livello di quella delle nazioni europee più avanzate nel settore, come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna. D’altra parte nel clima culturale fortemente positivista dell’epoca, cui certo non era estraneo Vittorio Emanuele III, l’assenza di un vero e proprio apparato critico poteva anche giustificarsi con la volontà di allontanarsi il meno possibile dall’oggettività del materiale, quasi che questo potesse essere di per sé esaustivo. Non dobbiamo dimenticare, a questo proposito, che ancora venti anni dopo la pubblicazione del CNI l’annoso problema della realizzazione di un Corpus di tutte le monete greche, reso ‘impossibile’ dalla vastità del soggetto, venne risolto dalla British Academy con il progetto tuttora in corso della Sylloge Nummorum Graecorum, che si propone di pubblicare, praticamente senza alcuna discussione scientifica, le nude schede e le foto delle monete presenti nelle collezioni numismatiche pubbliche e private del mondo [3]. In ogni caso alcuni interessanti contributi riguardanti l’“ordinamento delle zecche italiane”, apparsi negli anni posti a cavallo fra l’annuncio del Corpus e la pubblicazione del suo primo volume, sembrano confermare come la semplice presentazione del materiale con metodo critico fosse ritenuta, di per sé, strumento di progresso scientifico [4].
Quindi credo si possa sostenere che il contesto scientifico era tale da poter perfettamente apprezzare e quindi sfruttare il grande apporto offerto alla ricerca numismatica e storica dalla pubblicazione esaustiva della vasta serie delle monete italiane. Un risultato che avrebbe dovuto manifestarsi già dopo l’uscita dei primi volumi del CNI, tenuto conto del contesto piuttosto sviluppato della ricerca numismatica nei primi decenni del ‘900 [5] e della quantità di dati che l’opera aveva messo a disposizione degli studiosi; soprattutto la disponibilità di una così grande massa di materiale avrebbe dovuto indurre gli studiosi ad operare quel confronto fra le emissioni delle varie zecche, a fini di attribuzione e di collocazione cronologica, la cui assenza a nostro avviso aveva rappresentato la lacuna più grave nella numismatica italiana del secolo precedente [6].
Invece questo non accadde e, contrariamente alle stesse aspettative del suo compilatore [7], il Corpus finì con il rappresentare più un ostacolo che un incentivo allo sviluppo delle ricerche di numismatica medievale e moderna in Italia. Tale situazione è stata ben illustrata già vent’anni fa da un autore che forse più di altri si è sempre espresso in favore dell’elevata rilevanza scientifica del CNI, Francesco Panvini Rosati, con le seguenti parole:

“Occorre notare che tutte le monografie su zecche italiane, salvo eccezioni sono anteriori alla pubblicazione del Corpus, cioè sono del secolo scorso o al massimo dei primi anni di questo secolo. Dopo l’apparizione dei singoli volumi, i cultori di numismatica medioevale, eccetto anche in questo caso lodevoli eccezioni, si sono adeguati nella ricerca della variante, dell’esemplare inedito, dell’aggiunta al Corpus tutte cose utili, ma non sufficienti a far progredire gli studi di numismatica medioevale. Sembra che il Corpus invece di stimolare gli studi scientifici sulla monetazione medioevale, ai quali offriva un’impareggiabile base di partenza, li abbia quasi sopiti. Il fatto è che ad un esame superficiale poté sembrare a molti che le varie parti del Corpus costituissero delle vere e proprie monografie sulle singole zecche e quindi sostituissero quegli studi sistematici sulla monetazione medioevale, che trovano la loro estrinsecazione nelle ricerche monografiche su singole zecche… Ma così evidentemente non è. Il Corpus può costituire solo un punto di partenza per studi metodici non un punto di arrivo” [8].

Questo passo illustra uno scenario assai noto agli studiosi del settore ed anche molto discusso, anche se più in conversazioni private o pubbliche che all’interno di testi scritti. Forse perché fino a poco tempo fa non era facile documentare con dati concreti quella che era essenzialmente un’impressione comune a quanti avessero una conoscenza sufficiente della bibliografia. Oggi la recentissima pubblicazione da parte di Bernardino Mirra di una bibliografia quasi completa della numismatica medievale e moderna italiana [9] ci consente di supplire a questa carenza, tentando un’analisi statistica dell’impatto del Corpus sulle pubblicazioni di numismatica italiana post-classica. Non avendo molto tempo a disposizione, abbiamo conteggiato soltanto le pubblicazioni relative alle regioni illustrate in tre volumi presi a campione, il I, dedicato alla Casa di Savoia e pubblicato nel 1910, ed altri due, scelti in modo del tutto casuale, che sono risultati essere il II sul Piemonte, uscito nel 1911, ed il XIV sull’Umbria ed il Lazio, uscito nel 1933. Come possibile confronto, infine, abbiamo conteggiato anche le pubblicazioni relative alla Sicilia, regione che non venne illustrata nei volumi pubblicati del CNI. Per ogni regione abbiamo calcolato la percentuale delle pubblicazioni uscite in ciascuno dei 13 decenni compresi tra il 1851 ed il 1980 sul totale delle pubblicazioni dell’intero periodo preso in considerazione. La data iniziale è stata scelta perché la bibliografia del Mirra comincia ad essere meno esaustiva riguardo al periodo precedente la metà del XIX secolo; quella finale perché il numero di pubblicazioni successive al 1980, grazie soprattutto al successo di riviste mensili a diffusione di massa come Cronaca Numismatica e Panorama Numismatico, ha subito un incremento tale da risultare fuori scala rispetto ai dati offerti dai decenni precedenti. Riguardo alla rappresentatività statistica del campione, la cui ampiezza è stata determinata unicamente da motivazioni pratiche, la nostra impressione è che sia notevole, almeno in base alla nostra personale conoscenza della bibliografia numismatica di alcune regioni [10]. I risultati dell’indagine sono illustrati qui sotto (fig. 1).

Figura 1 - Andamento per decennio delle pubblicazioni numismatiche relative alle monete medievali e moderne italiane di alcune regioni (periodo 1851-1980), con l’indicazione dell’anno di pubblicazione dei relativi volumi del CNI.

Figura 1 - Andamento per decennio delle pubblicazioni numismatiche relative alle monete medievali e moderne italiane di alcune regioni (periodo 1851-1980), con l’indicazione dell’anno di pubblicazione dei relativi volumi del CNI.

L’andamento del grafico non lascia molti dubbi all’interpretazione: proprio dopo l’uscita dei primi volumi del Corpus, negli anni 1910-11, assistiamo ad un immediato e drastico calo del numero delle pubblicazioni, numero che non tornerà agli stessi livelli quo ante prima degli anni ’60 del secolo. Tale riduzione negli anni ’10 riguarda anche le pubblicazioni numismatiche di regioni entrate molto più tardi nel Corpus, come l’Umbria ed il Lazio (1933), oppure che non ne fecero mai parte, come la Sicilia. Questo sembra indicare che non furono tanto le fresche classificazioni di particolari serie monetali a scoraggiare ulteriori studi su quelle stesse serie ma proprio la pubblicazione del Corpus in quanto tale, evidentemente in grado di condizionare anche ricerche su monetazioni la cui edizione era ancora di là da venire.
A questo proposito ci sembra alquanto improbabile, quindi, che tale ‘sopirsi’ degli studi possa esser imputato soltanto ad una sorta di ‘pigrizia’ intellettuale da parte degli appassionati e studiosi di numismatica medievale, che di colpo si sarebbero arresi alla vastità ed alla comodità del CNI, rinunciando alle loro residue curiosità scientifiche, secondo le parole di Panvini Rosati. Le ragioni, in tutta evidenza, dovevano essere altre e probabilmente più profonde, e su questo oltre un anno fa abbiamo proposto una nostra spiegazione, basata essenzialmente sull’analisi delle recensioni dedicate al Corpus [11]. Poiché affrontare il problema del ruolo svolto dalla Collezione Reale nello sviluppo degli studi non può prescindere, almeno fino agli anni ’70 del secolo scorso, dal ruolo svolto dal Corpus nel diffondere la conoscenza del materiale appartenente a quella collezione, riteniamo necessario riproporre in questa sede, anche se in forma sintetica, il percorso che abbiamo sviluppato in tale intervento.
Le recensioni del Corpus sono abbastanza numerose, anche se non quanto avremmo dovuto aspettarci in rapporto al successo dell’opera, e sotto tale profilo quantitativo presentano un andamento discendente, cioè diventano sempre più sporadiche mano a mano che aumenta il numero dei volumi pubblicati [12]. E’ questo un fenomeno assolutamente naturale, visto che l’interesse di un’opera in più volumi distribuiti nel tempo diminuisce certamente col moltiplicarsi delle uscite. All’inizio, come era ovviamente da aspettarci, vista la lunga gestazione, le recensioni accolgono con grande entusiasmo la pubblicazione dei volumi del Corpus ma non sembrano andare oltre un intento puramente agiografico e non sempre colgono quali erano le vere potenzialità scientifiche dell’opera [13]. Questo potrebbe far pensare che fu proprio la troppo ‘augusta’ figura dell’autore del Corpus a scoraggiare gli studiosi dal proseguire in ricerche che inevitabilmente avrebbero finito con lo sconfessare moltissime delle conclusioni fatte proprie dal Re d’Italia. Non dobbiamo dimenticare che ai primi del ‘900 in ambito accademico i ceti nobiliari, che avevano vincoli di fedeltà nei confronti del re assai più stretti di quelli dovuti da un normale cittadino al proprio ‘Rappresentante della Nazione’, avevano un peso ancora estremamente elevato. Tuttavia le numerose recensioni apparse l’anno successivo, nel 1911, dimostrano che la situazione non era affatto così, e nessun timore reverenziale sembrava frenare i recensori dall’esprimere apertamente le loro critiche, sia pur con il linguaggio molto deferente dovuto alla maestà del personaggio coinvolto. Così ad esempio Furio Lenzi, nella rivista Rassegna Numismatica da lui diretta, non si sottrae al compito di indicare l’elenco delle sviste presenti nel I volume del Corpus, sia pure in una recensione tendenzialmente e sinceramente positiva [14]. Solo formalmente positiva, invece, in realtà piuttosto aspra e venata di sarcasmo la recensione che Nicolò Papadopoli affidò alla Rivista Italiana di Numismatica [15]. Val la pena citarne per esteso alcuni passi [16], perché rende del tutto evidente che autori del genere si sentivano totalmente liberi di esprimere il loro pensiero [17]:

“Non è certo cosa agevole assumere l’ufficio di esaminare in quale misura la nuova opera viene a colmare le lacune lamentate (relative alla mancanza di opere scientificamente valide sulla monetazione medievale e moderna italiana, n.d.r.), perché qualunque osservazione può parere intempestiva di fronte alla mole vastissima di lavoro compiuto e, forse, anche irriverente, non tanto per la Persona dell’Autore in sé che è al di sopra di qualsiasi critica, quanto per la competenza indiscussa che Egli ha acquistato nel campo della numismatica italiana…..; però crederemmo di venir meno all’ufficio assunto non esprimendo interamente il nostro pensiero perché convinti che dal cortese dibattito delle opinioni può derivare un vero vantaggio alla scienza che tutti proseguiamo con eguale affetto e passione…..
L’ignoranza dei principali sistemi monetari è aggravata dalla ignoranza dei nomi che avevano le monete all’epoca della emissione, perché molte delle denominazioni con le quali vengono generalmente indicate nei cataloghi di vendita e anche in quelli scientifici, sono posteriori; desunte talune dall’aspetto e dalle figurazioni, altre addirittura cervellotiche….. Di questa incertezza si vede il riflesso nel volume che stiamo esaminando, dove non poche volte alla denominazione segue un punto interrogativo o non risponde alla qualità della moneta di cui non è noto l’intrinseco….. Del resto questa deficienza può considerarsi insita nel concetto stesso dell’opera che si proponeva di raccogliere in un sol corpo la descrizione delle monete italiane quali esse sono note al presente senza sottoporle a nuovi studi, perché in tal caso il lavoro si sarebbe dovuto ideare ed eseguire diversamente.
Non insisteremo quindi su questo particolare per dire invece qualcosa del sistema adoperato per la classificazione del materiale. Esso risponde al sistema adottato da S.M. il Re per l’ordinamento della sua raccolta, che viene esposto in poche parole nelle brevissime 'Avvertenze generali' con le quali si apre il volume: ordinamento…regionale; e per ogni regione, le singole zecche, ovvero i luoghi a nome de’ quali vennero battute le monete, son disposti in ordine alfabetico. Non si contende che tale sistema non sia facile e pratico, e sopra tutto utile in specie ai negozianti, ma a chi lo esamina, pur non avendo vaste cognizioni in materia, si addimostra subito mancante di una solida base scientifica e razionale…". [18]

Si tratta evidentemente di critiche molto profonde, che il Papadopoli riuscì ad esprimere con ancor maggior durezza in un’altra recensione nella stessa rivista, questa volta molto elogiativa, dedicata al Repertorio generale del Sambon, uscito nel 1912. A suo avviso quest’ultimo era un testo veramente pregevole:

“per il metodo con cui esso fu compilato. Non siamo di fronte ad uno dei soliti più o meno diligenti cataloghi divisi per zecche, ma a un poderoso e riuscito tentativo di raggruppamento scientifico del materiale numismatico. Veramente scientifico perché tiene conto degli elementi storici ed economici che parvero finora esclusi dalla comune degli scrittori di numismatica italiana, i quali quando vollero dare una classificazione scientifica, non si spinsero mai molto al di là dell’ordinamento geografico, subordinando così la storia ai gruppi regionali, che non sempre sono stati i veri limiti entro cui si svolsero i fatti storici” [19].

Non appare difficile intuire a chi erano veramente dirette queste parole. Nessun altro recensore della prima ora si spinse così a fondo nel criticare il CNI ma dobbiamo dire che un altro commento, non tanto per le critiche, quanto per il tono leggero, sembra dimostrare come in questa fase gli autori non si ritenessero affatto limitati dall’elevatissimo rango del loro interlocutore. Ci riferiamo all’intervento del famoso giornalista ed uomo politico Alfredo Comandini nel mensile Il Secolo XX del marzo 1911 [20]. Val la pena citare alcuni brani piuttosto gustosi:

“Non tutti i giorni capita che un Re pubblichi un volume. Per gli italiani poi questa è assolutamente una novità. Un volume, che è anche una buona azione, giacché il prodotto della vendita va devoluto, per tre quarti, all’Istituto degli orfani degli impiegati, di cui il Re è patrono, e per un altro quarto alla Società Numismatica Italiana, di cui il Re è presidente onorario: ma questa, meglio che beneficenza, è munificenza, la Società Numismatica Italiana essendo abbastanza provvista di mezzi [21].
Ad ogni modo, coloro – e non sono pochi – che, dando del ‘numismatico’ al Re, vi aggiungono un sorrisetto ironico, possono veder a quali risultati si può arrivare con la numismatica; e si può rispondere loro come risponde Claudio nella Messalina di Pietro Cossa a chi deride il Re d’Armenia, perché sa il greco; ‘un Re che sa il greco è migliore di un altro!’….
…un’opera Corpus, quale solo un coraggio degno veramente di un Re poteva ideare, avrebbe dovuto contenere, come notizie, come chiarimenti, come indicazioni scientifiche e tecniche, sia pure in riassunto, tutto ciò che oggi le ricerche e gli studi permettono di precisare sulle varie monete, zecche, principi, ecc. Invece, all’infuori della minuziosità, pregevolissima, dei diametri e dei pesi della varie monete e delle più minuscole varianti, anche fortuite, dei tipi – altro non vi è…. Le annotazioni e riferimenti, sotto le monete, - non così frequenti e tutt’altro che esaurienti – sono di una concisione appena permessa in appunti personali presi in note d’abbozzo; e, quel che è peggio, vi è una profusione d’errori di stampa da rimanere irritati. Ma, per Bacco, coloro che corressero le bozze – fatica materiale che certo non potevasi pretendere venisse assunta dall’Augusto patrono, la cui scrupolosità e meticolosa precisione sono note – non sapevano che il volume sarebbe andato per il mondo come Il Libro del Re ?...Non vi è giusta nemmeno la data del matrimonio di Vittorio Emanuele III con Elena di Montenegro, avvenuto nell’ottobre del 1896, e indicato nel volume come avvenuto nel 1897!”

Decisamente positive e con qualche enfasi di troppo [22] appaiono invece altre importanti recensioni del I volume del CNI, come quelle di Luigi Rizzoli jun. negli Atti dell’Accademia di Padova [23] e di Lorenzina Cesano nel Bollettino d’Arte e nel Bollettino dell’Associazione Archeologica Romana [24]. Quella della Cesano ci sembra particolarmente interessante, perché evidenzia in modo molto chiaro quali potessero essere le reali potenzialità scientifiche del Corpus quale punto di partenza, non di arrivo, della ricerca numismatica:

“Di per se stessa, invero, l’opera riveste primieramente per gli studi numismatici italiani la maggiore importanza, giacché soddisfa ad un bisogno impellente da lungo tempo sentito e lamentato, e non ultima ragione delle condizioni infelici degli studi numismatici italiani: il bisogno dell’opera complessiva, sintetica, la quale, fondendo in unità sistematica, coordinando scientificamente tutto il materiale di studio noto e disperso in un numero grande di pubblicazioni e raccolte, sovente introvabili e inaccessibili, ne componesse un tutto organico a costruire la base, il punto di partenza alle ulteriori ricerche speciali più complesse, ed inoltre rendesse il materiale adatto a servire al più alto scopo, cui deve tendere ogni studio particolare sulle età passate, alla rivelazione più completa ed esatta di quelle età”.

A giudicare dalle prime reazioni, pertanto l’accoglienza del Corpus da parte dell’ambiente numismatico italiano fu sicuramente entusiasta, forse talvolta un po’ timida di fronte alla troppo augusta figura dell’autore ma nel complesso sufficientemente libera, critica e attenta alle possibilità di ricerca offerte dall’imponente mole di materiale reso disponibile dalla nuova pubblicazione.
Negli anni immediatamente seguenti si accavallarono le recensioni relative ai nuovi volumi del Corpus (dopo il primo ne uscirono altri 6, dal 1911 al 1917) ma in genere si limitarono ad illustrare volta per volta le monete comprese in ogni nuovo libro, senza né commenti sull’impostazione generale dell’opera, né tentativi di discuterne le attribuzioni, le classificazioni, le cronologie. Nel complesso, però, data la rapidità di pubblicazione di una così ingente massa di dati, sembra abbastanza giustificato che iniziative di ricerca tese a sfruttare proprio questa ricca documentazione tardassero un po’ a manifestarsi, lasciando per il momento il campo a semplici commenti descrittivi. Il che può spiegare il repentino crollo del numero di contributi di numismatica medievale nel decennio 1911-1920, come abbiamo visto nel grafico. Dopo il 1917 la pubblicazione dei volumi del Corpus si interruppe per cinque anni, in conseguenza della Grande Guerra e del difficile periodo che seguì, e tutto il movimento numismatico subì un notevole rallentamento. Dal 1922 i volumi del CNI tornarono ad uscire con una cadenza abbastanza vivace, e a quel punto, a dodici anni di distanza dall’uscita del primo volume, si sarebbe dovuto concretizzare quell’impatto positivo sullo sviluppo delle ricerche ma abbiamo visto non fu così, e le recensioni che continuarono a seguire regolarmente l’uscita dei vari volumi, sia pure con frequenza assai minore, testimoniano che ormai ci si era già adagiati nell’idea che il CNI fosse una sorta di fotografia della realtà numismatica italiana, che poteva essere descritta e lodata, non certo discussa. Quasi tutti gli autori si limitano infatti a citare i pezzi più significativi descritti nelle pagine del Corpus, al massimo aggiungendovi qualche commento storico, senza mai mettere in dubbio una classificazione od una cronologia. Una piccola eccezione è rappresentata da Luigi Rizzoli, il più fedele, assieme a Furio Lenzi di Rassegna Numismatica, fra i recensori del volumi del Corpus [25], che, nonostante le lodi sperticate al valore dell’opera recensita, in qualche rara occasione non si negò l’opportunità di discutere alcune scelte con cui non era d’accordo, sia pur con toni estremamente cauti [26]. Ma qualcosa di nuovo appare nei contributi sul Corpus successivi alla Grande Guerra, qualcosa che forse ci può far comprendere il perché dell’abbandono, di fatto, delle ricerche di numismatica medievale e moderna italiana da parte degli studiosi più validi: una retorica sempre più enfatica, sempre più venata di nazionalismo patriottico, tesa a spostare l’immagine del Re dal piano “banale” della passione e della ricerca numismatica a quello elevatissimo del rappresentante dei “Destini di una Nazione”. Tale enfasi retorica si nota appena negli scritti di Furio Lenzi e Luigi Rizzoli ma diventerà la cifra di molte pubblicazioni degli anni Trenta e Quaranta, con un momento di svolta assai ben definibile: la celebrazione del CNI in occasione del venticinquennale del Regno di Vittorio Emanuele III apparsa sulla Rivista Italiana di Numismatica del 1925, ad opera di Giuseppe Castellani [27]. Per quanto contenga affermazioni nel complesso condivisibili, e renda addirittura conto di alcune delle critiche che furono rivolte in passato al “Libro del Re”, nel complesso è ammantata di un tono talmente aulico e retorico da risultare del tutto incompatibile con la celebrazione di un testo che anche lontanamente voglia definirsi scientifico [28]. Appare chiaro che se questo era il modo in cui ci si accostava all’opera di Sua Maestà diventava impossibile considerarla quello che realmente era, cioè nulla più che un validissimo strumento di lavoro. Questo forse ci consente di capire quale fu il reale motivo che portò il Corpus ad affossare gli studi di numismatica post-classica in Italia, anziché a rinvigorirli: la progressiva occupazione dello Stato e della cultura da parte del Fascismo. E’ chiaro che in un contesto in cui il rispetto gerarchico da puramente funzionale all’organizzazione della macchina statale assumeva connotazioni di carattere ‘morale’, come avviene in tutte le dittature, diventava difficile contestare o anche solo discutere le opinioni e le scelte di chi dello Stato era il rappresentante massimo; per di più, il carattere fortemente etico che il Fascismo tendeva ad assegnare all’attività intellettuale, negandole funzioni unicamente conoscitive e quindi contestabili, rendeva ancora più inattaccabili le idee di un re cui veniva riconosciuta una forte connotazione intellettuale [29]. Per concludere, infine, non dobbiamo dimenticare che l’esaltazione di Roma e della Classicità divenne uno degli elementi guida dell’ideologia fascista, e possiamo immaginare quanto questo possa aver inciso nelle scelte di chi, occupandosi di numismatica, aspirava legittimamente ad ottenere i massimi riconoscimenti dal proprio lavoro. In altre parole possiamo dire che nei riguardi del Corpus e della numismatica medievale l’avvento e poi il consolidamento del Fascismo, con la conseguente adesione di numismatici come Luigi Rizzoli, Serafino Ricci e Lorenzina Cesano a tale ideologia totalitaria, ebbero quegli stessi effetti negativi messi in luce qualche anno fa in rapporto alla pubblicistica numismatica in generale (la Rivista Italiana di Numismatica, ad esempio, interruppe le pubblicazioni dal 1930 al 1940; la vivacissima Rassegna Numismatica di Furio Lenzi si trasformò nel 1936 nella Rassegna Monetaria, una rivista di divulgazione delle idee economiche fasciste che chiuse nel 1943) [30].
Ovviamente questo rapporto fra l’impatto negativo del Corpus ed il Fascismo è solo un’ipotesi, che necessita certamente di ulteriori conferme. Ci sembra significativo, però, che una delle ultime recensioni del Corpus pubblicate prima della caduta del Fascismo nel 1943, breve ma spudoratamente elogiativa, sia opera di Cesare de Vecchi di Val Cismon, uno dei Quadrumviri della Marcia su Roma [31].
Con il secondo dopoguerra la situazione cambia e, come abbiamo visto nel grafico, a partire dagli anni ’50 abbiamo un rapido incremento delle pubblicazioni, che nel decennio successivo porterà la produzione scientifica quasi allo stesso livello del periodo precedente la pubblicazione del Corpus. Tuttavia alcune scelte ideologiche del periodo fascista, se la nostra ipotesi può essere ritenuta valida, non terminarono di produrre i loro effetti sugli studi di numismatica medievale, almeno a giudicare dal fatto che tale rinascita all’inizio fu determinata quasi esclusivamente dall’intervento di alcuni storici [32], studiosi stranieri e collezionisti, non da numismatici ‘strutturati’. La cosa in effetti appare abbastanza comprensibile: indipendentemente da qualunque personale adesione politica o ideale a fenomeni del passato [33], è facile immaginare che l’attenzione quasi esclusiva per la classicità da parte dei numismatici sia sopravvissuta a lungo, in ambito accademico e quindi istituzionale, anche dopo la caduta dell’ideologia che l’aveva favorita. Questo per vari motivi: tale attenzione di per sé appare ovviamente del tutto indipendente da scelte di altra natura; la trasmissione diretta e personale delle conoscenze in settori accademici così specialistici, potremmo dire quasi da bottega artigianale, tende ovviamente a perpetuare attraverso le generazioni particolari filoni di ricerca; infine, forse più importante di tutti, l’organizzazione della struttura di tutela del patrimonio archeologico italiano, formatasi in un’epoca, la prima metà del ‘900, in cui i concetti di ‘archeologia’ e di ‘storia dell’arte antica’ di fatto erano quasi sovrapponibili, indirizzava preferibilmente verso l’antichità gli esperti numismatici attivi nelle soprintendenze archeologiche e, a cascata, nei musei di enti periferici dello Stato.
In ogni caso la scarsa partecipazione da parte dell’ ‘Accademia’ allo studio delle monete medievali, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, non pregiudicò la qualità delle nuove ricerche, soprattutto per merito dei due studiosi a cui questa rinascita va principalmente accreditata, Philip Grierson (1910-2006) fra gli stranieri, e il veronese Ottorino Murari (1910-1991) fra i collezionisti. Sulla figura del primo, uno tra i più grandi numismatici del XX secolo, non occorre certo tornare [34], basti ricordare che la pubblicazione nel 1956 del suo articolo sulla monetazione di Salerno [35] venne più tardi definita “una rivoluzione copernicana” rispetto al panorama delle ricerche precedenti [36]. I suoi interventi riguardo alla monetazione medievale italiana si concentrarono sulle zecche dell’Italia meridionale ma non trascurarono certo le emissioni delle regioni centro-settentrionali, soprattutto con importanti interventi di ordine generale, come quelli sulla cronologia delle riforme carolingie [37] o sull’introduzione della moneta grossa in Italia [38]. Certamente non paragonabile al profilo scientifico di Philip Grierson appare quello di Ottorino Murari, anche per la ragione che questi non poteva dedicarsi a tempo pieno alla ricerca storica e numismatica, essendo impegnato in altra attività professionale [39]. Tuttavia la sua importanza per la ricerca numismatica medievale, in Italia, non può considerarsi troppo inferiore a quella del grande studioso inglese, perlomeno non così inferiore come la diversa fama dei due studiosi potrebbe far ritenere [40]. Infatti anch’egli ebbe un ruolo tutt’altro che secondario nel diffondere quelle metodologie di ricerca sviluppatesi soprattutto all’estero che in Italia facevano una certa fatica ad essere impiegate, proprio per il fatto di non essere particolarmente adatte alla monetazione antica. Ci riferiamo in particolare all’indagine sui punzoni e sui segni di zecca, che Murari applicò ad un numero assai elevato di serie monetali prodotte da zecche dell’Italia centro-settentrionale. Come si evince dalla sua ricca bibliografia [41], infatti, i suoi interessi, pur spaziando dalla numismatica classica alla medaglistica, si concentrarono principalmente su quelle emissioni di difficile definizione cronologia per le quali solo metodologie avanzate come quelle indicate sopra, associate allo studio dei ripostigli, potevano consentire possibili soluzioni. Ci riferiamo in particolare alle serie dei denari a tipologia fossilizzata emessi a nome degli imperatori nei secoli X-XIII da zecche quali Verona, Milano, Lucca e Pisa. Parlando di questo autore, però, dobbiamo dire che nei suoi studi il ruolo della Collezione Reale fu praticamente nullo, se escludiamo gli ovvi confronti con i materiali illustrati nel CNI. Quasi tutte le ricerche di Murari si basarono infatti su materiali e ripostigli visti sul mercato o in possesso di collezionisti, nonché, in qualche caso, liberamente acquistati da musei di enti locali, nonostante le date di rinvenimento indicate testimoniassero talvolta che si trattava di materiali soggetti alla legislazione sulla tutela dei Beni Archeologici e quindi di proprietà dello Stato (al tempo la legge n. 1089 del 1939 [42]). Probabilmente perché l’interesse quasi esclusivo delle soprintendenze archeologiche per i materiali classici o pre-classici, all’epoca, aveva di fatto sottratto alla tutela archeologica i tesoretti medievali non rinvenuti in scavi ufficiali, al punto che la loro natura ‘illegale’ non era quasi percepita dai cittadini, neppure da alcuni funzionari di enti ed istituzioni pubbliche [43].
Lo scarso apporto alla ricerca della Collezione Reale continuò per tutti gli anni ’70, che pur videro l’intervento su problematiche di tipo monetario di un nutrito gruppo di storici che proseguirono nel filone tracciato da Pfaff, Herliy, Lane e Cipolla [44], tra i quali possiamo citare Buenger Robbert [45], Toubert [46], De Luca [47], Lane [48]. I loro contributi possono essere considerati di qualità ineguale, essendo più o meno condizionati dalla relativa conoscenza da parte degli autori della moneta coniata, cioè di quella concretamente presente nelle collezioni numismatiche, ma tutti indicarono una strada preziosa per la conoscenza della monetazione medievale: lo studio statistico delle citazioni monetarie presenti nella documentazione archivistica.
Con questo siamo arrivati agli ultimi due decenni del secolo scorso, quando finalmente la Collezione Reale si apre alla platea degli studiosi senza più la mediazione del Corpus, grazie alla pubblicazione di molti suoi materiali nel Bollettino di Numismatica [49] e nelle relative Monografie [50]. Allo stesso tempo in Italia gli studi sulla monetazione medievale raggiungono finalmente la loro piena maturità, soprattutto per merito del grande sviluppo delle ricerche di archeologia medievale. Sembra quindi che l’incontro fra il ‘tesoro’ conservato al Museo di Palazzo Massimo alle Terme ed una platea sufficientemente ampia di studiosi in grado di poterlo adeguatamente valorizzare possa concretizzarsi. Tuttavia la difficoltà ed i costi della consultazione con metodi tradizionali di una collezione così vasta, sia in termini di necessario personale di supporto che di riproduzione fotografica, rendono improbabile che tale incontro possa dare i suoi frutti in tempi sufficientemente brevi. Ci sembra quindi che la messa in rete dell’intera Collezione Reale, secondo il progetto che qui ci è stato presentato, rappresenti una soluzione ottimale, tanto più che essa costituisce una miniera ancora in gran parte inesplorata, la cui fruizione da parte del pubblico potrà aprire prospettive entusiasmanti di ricerca.

Note

[1] Travaini 2005, pp. 145-156.
[2] Sui criteri di elaborazione e sulle caratteristiche del Corpus v. Ricci 1911a; Panvini Rosati 1987, pp. 97-98; cfr., Travaini 2005, pp. 170-203, passim.
[3] Su questa iniziativa editoriale, iniziata nel 1931 dalla British Academy v., ad esempio, Grierson 1975, p. 188; Alföldi 1978, p. 246.
[4] Ci riferiamo soprattutto all’intervento di Serafino Ricci al Congresso di Scienze Storiche di Roma del 1903, pubblicato in forma sintetica come opuscolo dal Circolo Numismatico Milanese, Ricci 1903, e successivamente in forma estesa negli atti del Congresso, Ricci 1904; dopo l’uscita del I volume del Corpus l’argomento verrà ripreso da alcune recensioni, per le quali rimandiamo a Saccocci 2010, pp. 93-94, ove tutta la questione è illustrata compiutamente.
[5] V. sotto, commento alla fig. 1.
[6] Saccocci 2010, pp. 92-93.
[7] Che l’opera dovesse servire soprattutto a porre le basi delle future ricerche relative alle monete medievali e moderne è ben testimoniato dal sottotitolo stesso che il re volle inserire: Primo tentativo di un catalogo generale delle monete medievali e moderne coniate in Italia e da Italiani in altri paesi.
[8] Panvini Rosati 1983.
[9] Mirra [2009].
[10] In particolare di quella relativa al Triveneto, alla Lombardia, alle Marche ed alla Toscana, che in passato abbiamo anche avuto occasione di tabulare in ‘bozze di lavoro’, ovviamente non in modo così dettagliato ed esaustivo da poterne utilizzare i dati in questo grafico (non essendo ancora disponibile la bibliografia del Mirra).
[11] Saccocci 2010.
[12] Non riteniamo certo di aver raggiunto tutte le segnalazioni ed i commenti riguardanti la pubblicazione dei volumi del CNI, che sono sovente apparse anche nella stampa non specialistica. Riteniamo però di aver consultato sicuramente la maggior parte degli interventi in grado di aver influenzato il giudizio sull’opera da parte degli studiosi e degli appassionati di numismatica. Non consideriamo come recensioni, ovviamente, tutti i numerosissimi contributi dedicati alle aggiunte ed alle integrazioni al Corpus.
[13] Cfr. la bibliografia citata in Anonimo redazionale 1911, pp. 25-30.
[14] Lenzi 1911. Sulla figura di Furio Lenzi (1886-1939), fondatore nel 1904 della rivista Rassegna Numismatica, che diresse fino al 1937, v. Damiani 1997.
[15] Papadopoli 1911; cfr. anche Papadopoli 1910-1911.
[16] Cfr. Travaini 2005, pp. 195-196.
[17] Papadopoli 1911, pp. 129-131.
[18] Il passo prosegue poi registrando come proprio il primo volume rappresenti un’eccezione a quanto indicato nelle avvertenze generali, visto che le monete sono ordinate con criterio storico (la successione dei regnanti di Casa Savoia), e non geografico-alfabetico; il Papadopoli ne conclude che proprio questa eccezione “infirma” l’essenza del sistema adottato nel resto dei volumi. Sulla figura del veneziano Nicolò Papadopoli (1841-1922), imprenditore, uomo politico e grande studioso di numismatica, nonché tra i fondatori e primo presidente, nel 1892, della Società Numismatica Italiana, v. per tutti Saccocci 1988.
[19] Papadopoli 1912, pp. 120-122; cfr. Saccocci 1988, p. 171. Sulla contrapposizione fra criterio storico e criterio geografico nell’organizzazione di materiale numismatico v. Travaini 2005, pp. 195-200.
[20] Non vidi; la recensione di Comandini è citata in Ricci 1911b, pp. 16-17 e quasi completamente riportata in Anonimo redazionale 1911, pp. 60-64.
[21] A questo punto la redazione del Bollettino di Numismatica, che riprendeva il passo da Il Secolo XX, si è sentita in dovere di aggiungere in nota “Di questa asserzione è solo responsabile l’Autore. N.d.R.”; Anonimo redazionale 1911, p. 60.
[22] Forse la posizione di dipendenti pubblici non fu estranea a questa enfasi. Sulla figura di Luigi Rizzoli, Conservatore del Museo Bottacin di Padova e libero docente di numismatica presso la locale Università v. Ferrari 1942-1954; Gorini 1993; Boaretto 2007, pp. XIII-XV; su Secondina Cesano, Direttrice del Medagliere del Museo Nazionale Romano e docente alla Sapienza di Roma, v. Parise 1980.
[23] Rizzoli 1911.
[24] Cesano 1911a, Cesano 1911b.
[25] Le sue recensioni, principalmente pubblicate negli Atti dell’Accademia di Padova, nel Nuovo Archivio Veneto ed infine nel quotidiano Il Veneto si datano dal 1911 al 1940 e riguardano i volumi dal I al XVIII.
[26] Cfr. Rizzoli 1922-1923, pp. 222-223.
[27] Castellani 1925.
[28] Val forse la pena riportare un passo che ci sembra assai esemplificativo dello stile di questo brano: “Questa ampia visione (il succedersi dei Regni, delle Repubbliche e delle Signorie e l’evoluzione delle loro monetazioni, n.d.r.), animata da mille figure gloriose e da forme artistiche che alle volte toccano la perfezione, apparve alla mente indagatrice del Giovinetto (il Re) avido di apprendere e fin d’allora sorse in Lui l’idea che i suoi futuri sudditi avessero a profittare di un mezzo d’istruzione così efficace. E perché l’idea divenisse fatto pensò che il modo migliore fosse quello di mettere alla portata di tutti il cibo spirituale onde Egli si era nutrito.”
[29] Che poi questo carattere intellettuale, quasi da scienziato, venisse esaltato dal Fascismo per rendere ancora più aulica la figura del re, allontanandola quindi il più possibile dalla pratica politica concreta, non è cosa che riguardi l’argomento di questo intervento. A promuovere questa sorta di sacralità scientifica del Re e della sua opera, tra i numismatici, contribuì sicuramente Furio Lenzi, forse non volendo, con la celebrazione dei cinquant’anni della collezione di Vittorio Emanuele III nella sua Rassegna Numismatica. Basti ricordare che tale celebrazione è aperta da una premessa dal titolo Il simbolo della Patria (riferito al re); Cfr. Rassegna Numismatica, XXVIII (1931), pp. 182-212.
[30] Cfr. Gorini 1988, pp. XXV-XXVI.
[31] De Vecchi Di Val Cismon 1940.
[32] Possiamo citare, ad esempio, Pfaff 1953, Herlihy 1957, Lane 1959 e soprattutto Cipolla 1958.
[33] Anzi, crediamo si possa dire, quasi senza tema di smentita, “nonostante l’assenza di qualunque adesione personale politica od ideale”.
[34] Sulla figura di Philip Grierson v. Blackburn 2004-2006. Cfr., riguardo alla sua bibliografia ed all’importanza delle sue ricerche, Grierson 2001, pp. VII-XXX.
[35] Grierson 1956.
[36] Libero Mangieri 1989, p. 348.
[37] Grierson 1954.
[38] Grierson 1971-1972.
[39] Sulla vita di Ottorino Murari v. Castaldini 2005.
[40] Lo stesso Philip Grierson, in occasione del nostro primo incontro, a Firenze nel 1985, ci manifestò personalmente la grande stima che nutriva per lo studioso veronese, facendoci capire che meritava un rispetto ed un credito sicuramente maggiori di quanto il mondo accademico italiano sembrava disposto a riconoscergli.
[41] Per la bibliografa del Murari v. Castaldini 2005, pp. 51-54.
[42] Per il cui testo si v. Storia mutilata 1999, pp. 111-132.
[43] Dobbiamo dire che proprio questi importanti passi avanti nella ricerca garantiti da materiali di provenienza diciamo non certificata in mano a collezionisti, e dal conseguente mancato intervento dello Stato (non possiamo nascondere il fatto che se questi ripostigli medievali fossero stati requisiti dallo Stato negli anni Cinquanta o Sessanta in gran parte dei casi non sarebbero stati resi disponibili allo ricerca prima di tre o quattro decenni, e talvolta non lo sarebbero neppure oggi) qualche meditazione ‘eretica’ sulla possibile adozione nella nostra legislazione di elementi un po’ più liberali in fatto di materiali numismatici e di collezionismo, sul modello di quelli in vigore nel Regno Unito o nel Land tedesco della Baviera, potrebbero indurla. Ma ci rendiamo conto che l’argomento è molto delicato e controverso, e non è certo questa la sede per discuterne.
[44] V. sopra, nota 32.
[45] Buenger Robbert 1971.
[46] Toubert 1973, pp. 551-692.
[47] De Luca 1979.
[48] Lane 1977.
[49] Il cui primo volume è uscito nel 1983; proprio in questi giorni è stato distribuito il volume 50 (2008), che contiene gli indici dei precedenti 49 volumi; sulle caratteristiche e sulle prospettive di questa rivista v. comunque Balbi de Caro 2008, presente nello stesso volume di indici.
[50] Alcune della quali proprio dedicate alla pubblicazione integrale dei materiali della Collezione Reale; finora è stata pubblicata la I parte della serie delle monete ferraresi; v. Zecca di Ferrara 1987.